martedì 13 ottobre 2015

PATTO GENERAZIONALE

Le conversazioni degli incontri culturali organizzati dalle biblioteche jesine Planettiana e Petrucciana sono improntate su temi del nostro tempo: dalla globalizzazione e crisi economico-sociale alla trasvalutazione dei valori del passato che apre le porte a un futuro difficilmente decifrabile e governabile.
“La crisi: declino di valori o punto di svolta?” è il titolo scelto.
Presso la Planettiana di Palazzo della Signoria, il dott. Francesco Stoppa, psicologo del Dipartimento di salute mentale di Pordenone, analista membro della Scuola di psicoanalisi di formazione lacaniana, docente dell’ICLeSIstituto per la Clinica dei Legami Sociali (con quattro sedi italiane) – per la formazione degli psicoterapeuti, è intervenuto sul tema “La restituzione – perché si è rotto il patto tra le generazioni”.
Stoppa sa che «il titolo scelto per il ciclo è coerente all’attuale momento storico e culturale: “crisi” (dal greco: krisis) significa “azione, decisione, scelta” su come orientare questo momento particolarmente delicato della cultura occidentale». La sua domanda è: «è una crisi da declinare come “incidente” di tipo finanziario/economico, da rimettere in sesto al più presto per poi ripartire meglio di prima, oppure va intesa nel vero senso del termine, perché c’interroga nel profondo sui nostri modelli di sviluppo, sui nostri ideali?».
All’interno di questa crisi, che tocca in particolare i giovani, il tema dell’adolescenza è perciò pertinente e centrale perché è il tempo in cui l’individuo mette in discussione ciò che ha ereditato.
«L’adolescenza – secondo Stoppa – è un territorio molto “popolato” e il patto tra generazioni si è rotto perché oggi tutti cercano di adoperare questo spazio, cioè di essere adolescenti. Da un lato, gli adulti non permettono ai giovani di trovare una strada per crescere (pure la crisi economica ci ha messo lo zampino a frenare la crescita verso l’età adulta…); li educano relegandoli in una specie di Eden, felice, sereno e pieno di benessere ma dove non s’intravede la possibilità di crescere per occupare il posto dei genitori. Dall’altro lato, forse per la prima volta nella Storia, c’è una generazione di adulti che non vuole invecchiare. Oggi, l’idea della vecchiaia sconvolge e l’arte d’invecchiare è qualcosa che non si sa più gestire e abitare. Ciò significa che tutti sono adolescenti in uno spazio molto ristretto».
Ricordo ancora l’ammonimento di mio papà: «Non dire mai che qualcuno è anziano per dir che è vecchio, perché solo la vecchiezza porta saggezza; si può esser anziani pure a vent’anni». Aveva ragione…
Altre domande di Stoppa sono: “A chi si deve restituire?”, “Con chi si è contratto un debito?”. È una restituzione che non è do ut des (tu mi dài, perciò io ti do) ma è debito “simbolico”, cioè qualcosa che serve a un terzo. «Il debito simbolico – prosegue Stoppa – è quello che permette a ogni nuova generazione di ereditare ciò che ha ricevuto per ritrasmetterlo, a sua volta, a qualcun altro, per mandare avanti il mondo».
Freud citava Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi possederlo davvero». Perciò, la restituzione non è semplicemente ridare qualcosa ai genitori ma prendere quello che si è ricevuto per rivisitarlo e rivitalizzarlo. «Un processo di trasformazione, questo, che è passaggio fondamentale per la civiltà, per il suo bene, per il suo equilibrio e per il suo sviluppo verso il futuro». Stoppa sostiene che «rivisitare e rivitalizzare significano anche “smontare” e rifiutare “il ricevuto”, purché si metta in moto un’elaborazione critica che avversi la sclerotizzazione del patrimonio avuto». Il primo significato di restituzione attiene perciò alla responsabilità che ogni nuova generazione si prende nel non ereditare passivamente, ma di farlo in maniera creativa e innovativa, anche in modo conflittuale, se necessario.
Un’altra restituzione riguarda il momento in cui le generazioni possono incontrarsi ed è uno sforzo che i giovani devono fare verso gli adulti. La pietas latina, la propensione all’amore col quale si riconosce l’altro come essere umano esige lo sforzo, in qualunque momento e talvolta pure all’interno del conflitto stesso, di riconoscere l’umanità dei propri genitori, dei propri educatori. Secondo Stoppa quest’“umanità” «significa individuare gli errori che gli adulti hanno commesso, avere clemenza dei loro limiti e della loro fragilità (quasi peccato originale dei genitori), e capire quanto, in genere, sia difficile stare al mondo». Allora accade che «la restituzione è l’onore delle armi che le nuove generazioni concedono a quelle che le hanno precedute. Una sorta di celebrazione della condizione umana, che permette d’incontrarsi tra generazioni diverse, per rinnovare il patto di coesistenza».
La filosofa tedesca, Hannah Arendt (1906-1975), diceva che «Noi siamo sempre sospesi tra il perdono e la promessa»: è una riflessione che aiuta a perdonare chi è venuto prima di noi, per poter abitare il futuro e portare avanti le cose del mondo.
La restituzione, dunque, ha un flusso continuo: per i figli è saper ereditare per elaborare; per gli adulti è saper trasmettere.
Le domande di Stoppa si rinnovano: “Che cosa vuol dire ereditare?”. «Banale o no – dice –, per saper ereditare bisogna riconoscere d’esser figli, che non ci si autogenera e si dipende da qualcuno. La nostra è l’epoca dell’“autogenerazione”, forma indigena dell’anglosassone “self made man”: il mito dell’uomo che si è fatto da solo, che grazie alla tecnologia non ha più bisogno di alcuno, cui la Scienza permette addirittura di rigenerare la propria carne.
Saper ereditare, inoltre, esige il riconoscimento che quest’atto non è dovuto alla genealogia, ma è un atto singolare e soggettivo. Se, come accade, un giovane aborrisce ereditare in modo automatico, è pur vero che farlo bene significa spesso prendere le distanze da ciò che si è ereditato. Nella tradizione giudaico-cristiana, il prototipo di figlio in tal senso è quello “prodigo” (cfr. Luca 15,11 ss.): è chi butta via quel che riceve, apologia del dissenso e apoteosi del dispendio, “sputtanamento” di ogni cosa. In realtà, egli è il figlio prediletto del padre, perché tornando a casa a mani vuote consente il ripristino della relazione parentale interrotta e ridà un senso al compito di ogni essere umano che è quello di mandare avanti il mondo. «Il peccato degli adulti di oggi – incalza il relatore – è non aver insegnato ai giovani che anch’essi possono mandare avanti il mondo. Convinti che lo avessero fatto bene loro, con le contestazioni muscolari sessantottine e l’invenzione del rock, gli adulti pensavano che i giovani potessero vivere di rendita; un modo per dir loro che non avrebbero potuto fare di meglio e negargli, effettivamente, la possibilità di sperimentare un’alternativa».
Ecco perché ereditare significa pure “farsi orfano”, sospendere il legame coi genitori per assumere un tono critico. Tuttavia non basta, perché «altro peccato degli adulti è essersi sottratti al conflitto generazionale. Capaci d’essere contestatori, gli adulti hanno temuto la contestazione filiale, infilandosi, con loro e per loro, nel tunnel della cosiddetta società a-traumatica: cioè trattare i figli come feticci, preservarli dal male a tutti i costi, garantire loro un futuro, controllarli e gestirli ogni oltre limite, blindarli nella protezione e nella sicurezza a oltranza».
Una metafora sul bisogno che i giovani sentono di contrapporsi per emergere con una propria personalità sta nelle parole di Gesù: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre” (Matteo 10,34-35).
«Qual è l’oggetto della trasmissione? – chiede Stoppa –. Certo non solo transito di valori, ideali, tradizioni e cultura; tanto meno solo cose materiali ma, come l’ha chiamato lo psicanalista francese Lacan, “il sentimento della vita”, altrimenti “il desiderio”: cioè che la vita stessa possa avere un senso, nella quale si possa spendere il proprio desiderio, che ci si possa sentire artefici delle cose…». Ciò che non fa, per intenderci, quel tizio che ha ricevuto un solo talento quando lo sotterra e rinuncia alla sfida… (Matteo 25,14 ss.).
«Educare – conclude il suo intervento Stoppa –, uno dei tre mestieri impossibili (insieme a governare e curare), come diceva Freud, significa far ciò che Dio chiede all’Uomo in Genesi, quando lo invita a imporre un nome ai viventi: un modo parafrasato per “individuare” qualcuno, per farlo uscire dall’anonimato e dal generico, per dargli forma e farlo esistere nella sua unicità.
Educazione, dunque, intesa come trasmissione del senso della vita».
Ce n’è da riflettere a sufficienza… Non vi pare?

Oreste Mendolìa Gallino

Nessun commento:

Posta un commento