Le conversazioni degli incontri culturali organizzati dalle biblioteche
jesine Planettiana e Petrucciana sono improntate su temi del nostro tempo: dalla
globalizzazione e crisi economico-sociale alla trasvalutazione dei valori del
passato che apre le porte a un futuro difficilmente decifrabile e governabile.
“La crisi: declino di valori o punto di svolta?” è il titolo scelto.
Presso la Planettiana di Palazzo della Signoria, il dott.
Francesco Stoppa, psicologo del Dipartimento di salute mentale di Pordenone,
analista membro della Scuola di psicoanalisi di formazione lacaniana, docente
dell’ICLeS – Istituto per la Clinica
dei Legami Sociali (con quattro sedi italiane) – per la formazione degli
psicoterapeuti, è intervenuto sul tema “La restituzione – perché si è rotto il
patto tra le generazioni”.
Stoppa sa che «il titolo scelto per il ciclo è coerente all’attuale
momento storico e culturale: “crisi” (dal greco: krisis) significa “azione, decisione, scelta” su come orientare
questo momento particolarmente delicato della cultura occidentale». La sua
domanda è: «è una crisi da
declinare come “incidente” di tipo finanziario/economico, da rimettere in sesto
al più presto per poi ripartire meglio di prima, oppure va intesa nel vero
senso del termine, perché c’interroga nel profondo sui nostri modelli di
sviluppo, sui nostri ideali?».
All’interno di questa crisi,
che tocca in particolare i giovani, il tema dell’adolescenza è perciò pertinente
e centrale perché è il tempo in cui l’individuo mette in discussione ciò che ha
ereditato.
«L’adolescenza – secondo Stoppa – è un territorio molto “popolato”
e il patto tra generazioni si è rotto perché oggi tutti cercano di adoperare
questo spazio, cioè di essere adolescenti.
Da un lato, gli adulti non permettono ai giovani di trovare una strada per crescere
(pure la crisi economica ci ha messo lo
zampino a frenare la crescita verso l’età adulta…); li educano relegandoli
in una specie di Eden, felice, sereno
e pieno di benessere ma dove non s’intravede la possibilità di crescere per occupare
il posto dei genitori. Dall’altro lato, forse per la prima volta nella Storia, c’è
una generazione di adulti che non vuole invecchiare. Oggi, l’idea della
vecchiaia sconvolge e l’arte d’invecchiare è qualcosa che non si sa più gestire
e abitare. Ciò significa che tutti sono adolescenti
in uno spazio molto ristretto».
Ricordo ancora l’ammonimento di mio papà: «Non dire mai che
qualcuno è anziano per dir che è vecchio, perché solo la vecchiezza porta
saggezza; si può esser anziani pure a vent’anni». Aveva ragione…
Altre domande di Stoppa sono: “A chi si deve restituire?”, “Con
chi si è contratto un debito?”. È una restituzione che non è do ut des (tu mi dài, perciò io ti do)
ma è debito “simbolico”, cioè qualcosa che serve a un terzo. «Il debito simbolico – prosegue Stoppa – è
quello che permette a ogni nuova generazione di ereditare ciò che ha ricevuto
per ritrasmetterlo, a sua volta, a qualcun altro, per mandare avanti il mondo».
Freud citava Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri
riconquistalo se vuoi possederlo davvero». Perciò, la restituzione non è
semplicemente ridare qualcosa ai genitori ma prendere quello che si è ricevuto
per rivisitarlo e rivitalizzarlo. «Un processo di trasformazione, questo, che è
passaggio fondamentale per la civiltà, per il suo bene, per il suo equilibrio e
per il suo sviluppo verso il futuro». Stoppa sostiene che «rivisitare e
rivitalizzare significano anche “smontare” e rifiutare “il ricevuto”, purché si metta in moto un’elaborazione
critica che avversi la sclerotizzazione del patrimonio avuto». Il primo
significato di restituzione attiene
perciò alla responsabilità che ogni nuova generazione si prende nel non
ereditare passivamente, ma di farlo in maniera creativa e innovativa, anche in
modo conflittuale, se necessario.
Un’altra restituzione riguarda
il momento in cui le generazioni possono incontrarsi ed è uno sforzo che i
giovani devono fare verso gli adulti. La pietas
latina, la propensione all’amore col quale si riconosce l’altro come essere
umano esige lo sforzo, in qualunque momento e talvolta pure all’interno del
conflitto stesso, di riconoscere l’umanità
dei propri genitori, dei propri educatori. Secondo Stoppa quest’“umanità” «significa
individuare gli errori che gli adulti hanno commesso, avere clemenza dei loro
limiti e della loro fragilità (quasi peccato
originale dei genitori), e capire quanto, in genere, sia difficile stare al
mondo». Allora accade che «la restituzione è l’onore delle armi che le nuove generazioni concedono a quelle che le
hanno precedute. Una sorta di celebrazione della condizione umana, che permette
d’incontrarsi tra generazioni diverse, per rinnovare il patto di coesistenza».
La filosofa tedesca, Hannah Arendt (1906-1975), diceva che «Noi
siamo sempre sospesi tra il perdono e la promessa»: è una riflessione che aiuta
a perdonare chi è venuto prima di noi, per poter abitare il futuro e portare
avanti le cose del mondo.
La restituzione,
dunque, ha un flusso continuo: per i figli è saper ereditare per elaborare; per
gli adulti è saper trasmettere.
Le domande di Stoppa si rinnovano: “Che cosa vuol dire
ereditare?”. «Banale o no – dice –, per saper ereditare bisogna riconoscere d’esser
figli, che non ci si autogenera e si dipende da qualcuno. La nostra è l’epoca
dell’“autogenerazione”, forma indigena dell’anglosassone “self made man”: il
mito dell’uomo che si è fatto da solo, che grazie alla tecnologia non ha più
bisogno di alcuno, cui la Scienza permette addirittura di rigenerare la propria
carne.
Saper ereditare, inoltre, esige il riconoscimento che quest’atto
non è dovuto alla genealogia, ma è un atto singolare
e soggettivo. Se, come accade, un
giovane aborrisce ereditare in modo
automatico, è pur vero che farlo bene significa spesso prendere le distanze da ciò che si è ereditato. Nella tradizione
giudaico-cristiana, il prototipo di figlio in tal senso è quello “prodigo” (cfr.
Luca 15,11 ss.): è chi butta via quel che riceve, apologia del dissenso e
apoteosi del dispendio, “sputtanamento” di ogni cosa. In realtà, egli è il figlio
prediletto del padre, perché tornando a casa a mani vuote consente il
ripristino della relazione parentale interrotta e ridà un senso al compito di ogni essere umano che è quello di
mandare avanti il mondo. «Il peccato degli adulti di oggi – incalza il
relatore – è non aver insegnato ai giovani che anch’essi possono mandare avanti
il mondo. Convinti che lo avessero fatto bene loro, con le contestazioni muscolari
sessantottine e l’invenzione del rock,
gli adulti pensavano che i giovani potessero vivere di rendita; un modo per dir
loro che non avrebbero potuto fare di meglio e negargli, effettivamente, la
possibilità di sperimentare un’alternativa».
Ecco perché ereditare significa pure “farsi orfano”, sospendere
il legame coi genitori per assumere un tono critico. Tuttavia non basta, perché
«altro peccato degli adulti è essersi sottratti al conflitto generazionale.
Capaci d’essere contestatori, gli adulti hanno temuto la contestazione filiale,
infilandosi, con loro e per loro, nel tunnel della cosiddetta società a-traumatica: cioè trattare i
figli come feticci, preservarli dal male a tutti i costi, garantire loro un
futuro, controllarli e gestirli ogni oltre limite, blindarli nella protezione e
nella sicurezza a oltranza».
Una metafora sul bisogno che i giovani sentono di contrapporsi
per emergere con una propria personalità sta nelle parole di Gesù: “Non
crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare
non pace ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la
figlia da sua madre” (Matteo
10,34-35).
«Qual è l’oggetto della trasmissione? – chiede Stoppa –. Certo
non solo transito di valori, ideali, tradizioni e cultura; tanto meno solo cose
materiali ma, come l’ha chiamato lo psicanalista francese Lacan, “il sentimento
della vita”, altrimenti “il desiderio”: cioè che la vita stessa possa avere un
senso, nella quale si possa spendere
il proprio desiderio, che ci si possa sentire artefici delle cose…». Ciò che
non fa, per intenderci, quel tizio che ha ricevuto un solo talento quando lo sotterra
e rinuncia alla sfida… (Matteo 25,14 ss.).
«Educare – conclude il suo intervento Stoppa –, uno dei tre
mestieri impossibili (insieme a governare e curare), come diceva Freud,
significa far ciò che Dio chiede all’Uomo in Genesi, quando lo invita a imporre un nome ai viventi: un modo
parafrasato per “individuare” qualcuno, per farlo uscire dall’anonimato e dal
generico, per dargli forma e farlo
esistere nella sua unicità.
Educazione, dunque, intesa come trasmissione del senso della
vita».
Ce n’è da riflettere a sufficienza… Non vi pare?
Oreste Mendolìa Gallino
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