Impegnarci
nella ricerca di una Via per l’avvenire
dell’umanità è faticoso ma è urgente; «la rifondazione dell’Umanesimo non è
né un dogma provvidenziale né un gioco dello spirito: è una scommessa. L’era del sospetto non
basta più. Di fronte alle crisi e
alle minacce sempre più gravi, è venuta l’era della scommessa. Dobbiamo avere
il coraggio di scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità degli
uomini e delle donne di credere e di sapere insieme. Perché l’umanità possa
perseguire a lungo il suo destino creativo».
La riflessione di Julia
Kristeva, filosofa e psicanalista lacaniana bulgara, mi aiuta a
commentare la conferenza “Vivere col tablet:
quali sfide?”, tenuta il 17 corrente presso la Planettiana dal Prof. Pier Giuseppe Rossi, docente di
Tecnologia dell’Informazione presso l’Università di Macerata.
Biblioteca Petrucciana, Comune di Jesi e Jesi
Cultura sono promotori e organizzatori della rassegna d’incontri culturali
2014/2015, dal titolo, appunto, Alla
ricerca di una Via per l’avvenire dell’umanità.
Mons. Attilio Pastori, suo maggiore responsabile
e promotore, s’interroga e, al tempo stesso, le sue domande tracciano un
cammino di ricerca: «Non c’è soltanto un mondo e soltanto un tempo:
il Vascello continua
la sua corsa. Dove ci porterà? Verso un
progresso ininterrotto? Non
possiamo più crederlo. Il filosofo
Edgar Morin propone di sostituire a una via dello sviluppo che produce sottosviluppo,
la via di una politica della civiltà, nella prospettiva di un Nuovo Umanesimo».
La proposta del Professor Rossi parte, certo,
dalle tecnologie che obbligano l’Uomo ad accettare il confronto con un
progresso continuo, un futuro attualizzato che sta mutando perfino l’antropologia.
Il tablet, perciò, è solo un
paradigma: nella sua innumerevole offerta di utilizzo, lo strumento tecnologico
ha mutato il pensiero e il comportamento umani, ponendo l’individuo in relazione
con una collettività in cui, spesso, egli si mescola nel mare magnum dell’alterità diventata pressoché virtuale in una
società “liquida”, per usare l’espressione coniata dal famoso sociologo e filosofo
polacco, di origini ebraiche, Zygmunt Bauman
a proposito della postmodernità.
Tecnologie, secondo Rossi, «che hanno due
caratteristiche contraddittorie: da una parte l’Uomo le modifica usandole, dall’altra
egli ne dipende» e «l’uso che egli deve farne e come acquisirne una modalità
critica» sono gli argomenti che prevalgono sull’antinomia sterile tra chi le
rifiuta totalmente e chi le userebbe sempre. Il fenomeno – prosegue Rossi – va
affrontato rispondendo a due domande; la prima è: come sta cambiando oggi il
modo di conoscere e di apprendere? Imparare significa “generalizzare”, passare
dal caso specifico alla legge generale e formulare le regole per affrontare i
problemi che ci circondano. «In passato il passaggio dalla teoria alla pratica
era “lineare” e dalla prima derivava l’applicazione; il bagaglio teorico
acquisito a scuola serviva per affrontare la vita. Oggi prevale l’approccio
“ricorsivo”, cioè la formazione continua, non intesa in termini temporali ma quella
capace d’insegnare mentre si lavora e di generare continuamente modelli della
realtà in cui si vive, per capirla e rappresentarla a diversi livelli».
Alla seconda domanda: che tipo di professionista
sarà mio figlio, quali competenze chiede oggi il mondo del lavoro?, Rossi
risponde «che il professionista attuale costruisce progetti innovativi per
problemi innovativi: le sue conoscenze sono strumenti per assemblare strategie
specifiche; perciò, gli sono richieste numerose competenze, tra cui: la
riflessione e la capacità d’imparare e capire come farlo; l’abilità per creare
continuamente modelli cui fare riferimento, campioni di rappresentazione della
realtà capaci di descriverla e di capire com’è fatta, è il segreto per trovare
soluzioni a quei problemi innovativi; soprattutto, il professionista di oggi
deve avere grandi doti di comunicazione, perché spesso egli persegue un
obiettivo in squadra».
La complessità del mondo in cui l’Uomo del Terzo
Millennio vive e lavora, il problema della rappresentazione della realtà cui
Rossi fa riferimento si affronta con «un recupero del pensiero umanista, un
nuovo dialogo, una nuova alleanza tra questo pensiero e quello scientifico».
Solo così possiamo vedere «la tecnologia come capacità di organizzare, di
padroneggiare, di costruire strutture complesse».
Il Nuovo Umanesimo sorge proprio da quest’alleanza:
figlio della
cultura europea, esso è incontro di differenze culturali, in un mondo complesso,
favorite dalla globalizzazione e dall’informatizzazione, e rispetta, traduce e
rivaluta le varianti dei bisogni di credere e dei desideri di sapere che sono
patrimonio universale di tutte le civiltà. È in questa prospettiva che va
atteso il prossimo dibattito offerto dalla rassegna: quello del 13 aprile,
sempre alla Planettiana, in cui il Professor Givone, docente di Estetica presso
l’Università di Firenze, risponderà alla domanda se sia possibile un Nuovo
Umanesimo nel dualismo tra disperazione e speranza dell’Uomo.
«Un nuovo umanesimo –
come dice il Cardinale Angelo Scola – che non sia altro che la capacità insita
nella fede cristiana di generare cultura, cioè di proporre agli uomini e alle
donne di ogni tempo, partendo dal loro peculiare contesto storico, sociale e
culturale, un senso per vivere il quotidiano».
Oreste Mendolìa
Gallino