martedì 30 agosto 2016

LA VITA DAL BALCONE

Radio Vaticana, omelia di Papa Francesco del 10 settembre: «è importante capire gli altri, non condannarli».
Giorni prima (Domenica 6) ne Il Sole 24 Ore non mi è sfuggito l’articolo “La misericordia attuata da Francesco. Il Papa benedice una ragazza madre”: «[Francesco] Non ha certo timore di rompere vecchi tabù, che in qualche modo hanno segnato la vita quotidiana della Chiesa. Ieri in un collegamento tv con gli Usa ha detto a una ragazza madre texana: “Dio ti benedica per quello che hai fatto. Sono orgoglioso di te, cammina a testa alta”…».
Il filo logico tra i due interventi mi sembra evidente.
Sulla traccia di questa evidenza trovo pertinente il sottotitolo “Francesco, testimone di speranza” di un interessante libro di Alessandra Ferraro, «Non guardate la vita dal balcone…», Elledici, Torino.
L’invito di Francesco è chiaro: «Siate protagonisti»; all’Autrice non sfugge l’«appello, forte e incisivo, che coinvolge ogni persona a non restare immobile, subendo i mondo passivo i problemi della vita e del mondo».
In questo Pontefice, venuto dai “confini del mondo”, io percepisco spesso l’invito a ispirarci all’alba del Cristianesimo, alla Chiesa delle origini, all’eco entusiasta, pure tra le avversità della primitiva predicazione, che si avverte nel clima quotidiano leggendo il Libro degli Atti degli Apostoli.
E come egli “bacchetti” una certa diffusa ipocrisia quando, dimenticando il nostro Battesimo, ci comportiamo in modo farisaico... Un Cristianesimo talvolta stanco e inamidato quello cui Bergoglio dà una scossa nel tentativo di rianimarlo dalle secche di un certo sopore: sforzo cui si oppongono in molti dentro le stesse mura vaticane…
Per Francesco, evidentemente, “essere protagonisti” non significa solo fare scelte coraggiose ma farle, quelle scelte – pure di controcorrente –, alla faccia dei compromessi, perché la fede nel Risorto non accetta vie di mezzo e accomodamenti. La Misericordia e la Tenerezza di Dio esigono l’assunzione della responsabilità d’essere Cristiani, cioè fedeltà al Vangelo di Gesù, al kerigma.
Per alcuni versi, le riflessioni dell’Autrice disegnano un ritratto di Bergoglio che si fa portavoce e protagonista di un pontificato inedito nella forma: «Dobbiamo essere coraggiosi» è il suo proclama (pag. 6) e prima o poi ricevi una sua telefonata perché hai bisogno della sua consolazione, perché egli risponde al tuo appello come “uno” chiunque (pag. 73, 75). Per esempio, quanti, tra noi, sanno che Francesco ha trascorso il suo compleanno con tre senzatetto, con gli «ultimi della terra, respinti dalla società come scarto e invisibili agli occhi di un mondo frenetico, assetato di guadagno personale e di successo sociale»? (pag. 7).
Francesco è «un Papa che non ha paura di dire ai potenti che “l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita” e invita a “non avere paura della bontà e della tenerezza”» (pag. 3). In una società di “efficiente pragmatismo” come questa, bisogna avere il coraggio di andare controcorrente nell’educazione dei giovani; essi «devono essere educati, stimolati a puntare verso i veri valori, a non lasciarsi trascinare nel vittimismo e nel pessimismo guardando la vita dal balcone. Papa Francesco rivolge questo imperativo non solo ai giovani ma a tutti: “Giocate in attacco! Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, di fratellanza, di giustizia, di amore, di pace, di fraternità e di solidarietà”. Un appello – dice Ferraro – che invita tutti a non restare fermi, subendo in modo passivo i problemi della vita e del mondo» (pag. 4).
Similitudine azzeccata è quella che l’Autrice propone tra Bergoglio e Don Bosco (ricordo che Elledici, l’Editrice che pubblica il libro, è salesiana, e Dario Viganò, sacerdote salesiano, è stato nominato Direttore del Centro Televisivo Vaticano proprio da Francesco...). Nonostante sia Gesuita e «seppure in un’epoca del tutto diversa, con necessità e bisogni differenti, Papa Francesco interpreta e incarna lo spirito salesiano anche nel suo stile di comunicazione, fatto di gesti e parole che dicono allegria, vicinanza, affetto a chiunque incontri» (pag. 92).
«Pensavo – dice Bruno Vespa (cfr. Testimonianze, pag. 95) – che Giovanni Paolo II fosse imbattibile in fatto di comunicazione. Bene, Francesco è andato oltre».
A tale riguardo, secondo l’Autrice la sfida della buona comunicazione «è rivoluzione della verità, della bontà e della bellezza che ognuno di noi è chiamato a fare», perché – citando Bergoglio – «ciascuno nel proprio ruolo e con la propria responsabilità deve vigilare per tenere alto il livello etico della comunicazione e, in particolare, evitare quelle cose che fanno tanto male: la disinformazione, la diffamazione e la calunnia» (pag. 94).
Una cosa, dunque, è non stare a guardare la vita dal balcone, ben altra è farlo giocando in attacco rispettando le regole che la Misericordia e la Tenerezza di Dio impongono, perché se «Dio ci ama, non dobbiamo aver paura di amarlo. La fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore» (Francesco, udienza generale, 3 aprile 2013). L’invito è chiaro: «Svegliate il mondo, siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere» (Francesco, video-messaggio, 29 novembre 2014).
Propongo una citazione per stimolare il Lettore a leggere quest’agile libro: «Se io non fossi Cattolico e volessi trovare, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell’unica Chiesa che non va d’accordo con il mondo. Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo […]. Cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero il Cristo. Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere il Figlio di Dio» (Venerabile arcivescovo Fulton Sheen).
Oreste Mendolìa Gallino

COMUNICARE DIO

Giorgio Agamben, filosofo italiano, autore de Il sacramento del linguaggio, sostiene che «la parola comunica sul presupposto di una fiducia reciproca tra gli interlocutori, altrimenti diventa vuota e vana formula».
A questo presupposto di reciprocità s’ispira il Collega Vincenzo Varagona, della Redazione Tgr Rai Marche, quando pubblica il libro Comunicare Dio. Dalla Creazione alla Chiesa di Papa Francesco (Ecra Edizioni, € 16,00). In realtà, il pensiero dell’Autore è una riflessione intorno al modo con il quale Dio comunica se stesso mentre, fidandosi dell’Uomo, fa in modo che ogni sua parola diventi un fatto, una persona, Gesù Cristo (Card. E. Menichelli, Prefazione).
Per diventare poi, dopo la Pentecoste, missione della Chiesa nel mondo: «L’annuncio è la missione più importante che Dio stesso testimonia e che affida all’uomo, il quale, conoscendo che la fantasia di Dio è straordinaria, in Lui trova fonte d’ispirazione per parlare di Dio attraverso varie forme di espressione artistica, dall’arte alla musica» (pag. 13-14).
E poiché è carisma della Chiesa «promuovere la giustizia nella ricerca del bene comune», secondo il Prof. G. Rivetti (cfr. Presentazione), è lodevole che Varagona rivolga particolare attenzione «al ruolo dei mezzi di comunicazione poiché la persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell’uso di tali mezzi».
Nucleo, cuore e centro di Dio creatore e comunicatore è il Verbo, Parola per eccellenza, Gesù, che fa della parabola la comunicazione privilegiata del progetto di Dio per l’umanità. Che in Gesù la parola e l’azione siano complementari è evidente perché in Lui «la signoria di Dio è dimostrata attraverso le opere e illustrata attraverso le parole» (pag. 17).
Non va dimenticato che nella tradizione rabbinica anteriore a Gesù non è possibile trovare una sola vera parabola contro le almeno 41 dei Sinottici; e neppure se ne trovano nel resto del Nuovo Testamento, in San Paolo, per esempio, che pure ama molto la comunicazione figurata. Per Gesù, invece, le parabole costituiscono il veicolo preferito per annunciare che “il regno di Dio è vicino” (cfr. Lambiasi-Tangorra, Gesù Cristo comunicatore. Paoline, 1997).
Il messaggio che Varagona propone alla riflessione del Lettore è che la Chiesa, fattasi interprete privilegiata della comunicazione del Vangelo all’Urbe e all’Orbe «pur attraversando fasi complesse, ha sempre cercato nuove strade per diffondere in modo efficace il messaggio di salvezza».
Un fine, questo, che noi giornalisti cattolici dobbiamo tenere presente tanto per la sua intrinseca necessità quanto per la sua straordinaria efficacia. Il potere dei media sta rivoluzionando la Chiesa; non stare al passo di questa modernità significa ignorare la grande opportunità che la Chiesa ha di mettersi in gioco in un mondo sempre più complesso e articolato.
Non è un caso che Papa Francesco, sbarcato su un nuovo pianeta del web, Istagram, dopo il canale multilingue Vatican su You Tube, e gli oltre 25milioni di follower sulla piattaforma Twitter e le catechesi su Telegram, abbia chiamato per rivoluzionare i media vaticani uno come Monsignor Viganò, che ama Holliwood, Fellini e i social network.
La Chiesa di Bergoglio, proiettata dal centro alla periferia è la cartina di tornasole della spontaneità e dell’immediatezza di questo Papa. E quest’aspetto importante del Papa, venuto dall’altra parte del mondo, non sfugge alla riflessione di Varagona quando intervista il biblista Servita Alberto Maggi, condirettore del Centro Studi Biblici Vannucci di Montefano, il quale dice: «…si è finalmente compreso che non eravamo fuori della Chiesa, come venivamo incolpati, ma solo fedeli al Vangelo, quando già vent’anni fa dicevamo le stesse cose che oggi dice Papa Bergoglio…».
A significare che cosa questa “polemica”? Che, come dice Varagona, in missione per la comunicazione non ci vanno solo Ordini, Congregazioni e Santi predicatori, ma una Chiesa che ­– anche per mezzo di ognuno di noi – «si presta ad attese e speranza, perché è convinzione comune che fosse necessario costruire una maggiore unitarietà e sinergia nell’azione comunicativa della Santa Sede, in particolare con i due appuntamenti di grande rilevanza come il Sinodo della Famiglia e il Giubileo della misericordia».

Oreste Mendolìa Gallino

CONVEGNO IN JESI DI DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

L’acronimo DIU sta per Diritto Internazionale Umanitario. Il DIU ha l’obiettivo di limitare, per ragioni umanitarie, gli effetti dei conflitti armati sui combattenti e sulle popolazioni civili. Esso è perciò vocazione di Croce Rossa e MezzalunaRossa Internazionale, la Rete umanitaria globale, presente in 187 nazioni, di 80milioni di persone, tra membri e Volontari, che si adoperano per aiutare chi è colpito da un conflitto armato o da problemi sanitari e sociali.
A quest’argomento di grande attualità è stato dedicato il Convegno intitolato Diritti Umani e IntegrAzione. Il ruolo della Croce Rossa, promosso dal Comitato jesino di Croce Rossa Italiana, col patrocinio del Comune di Jesi e della Consulta della Pace, che si è svolto il 14 maggio presso il Palazzo della Signoria, a Jesi.
Un appuntamento in sintonia con “Protect Humanity – Stop indifference”, l’iniziativa globale ideata dalla Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa “per creare solidarietà ed empatia nei confronti dei migranti più vulnerabili e per chiedere la loro protezione come una questione di responsabilità collettiva”. Un appello, quello della Federazione, rivolto a tutti, per garantire protezione, sicurezza e dignità ai migranti, senza discriminazioni, in ogni fase del loro viaggio verso la libertà.
All’apertura dei lavori sette Donne, tra Volontarie e Crocerossine, hanno enunciato solennemente ciascuno dei Princìpi Fondamentali del Movimento Internazionale di Croce Rossa, che ne costituiscono lo spirito e l’etica: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontarietà, Unità e Universalità, adottati a Vienna nell’ottobre 1965.
A moderare il dibattito, la Direttrice di Voce della Vallesina, Beatrice Testadiferro che, prendendo la parola, ha auspicato che eventi pubblici come questo siano «oggetto di maggiore informazione, allo scopo di abbattere i pregiudizi e assumere quegli stili di vita propri di chi lavora quotidianamente per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti» e che siano «adottati dall’Ordine dei Giornalisti per essere inseriti nel sistema dei Corsi di Formazione cui tutti gli iscritti sono obbligati per Legge».
Ospiti di rilievo gli avvocati Cristina Perozzi e Marzia Como, Consigliere Qualificate e Istruttrici di Diritto Internazionale Umanitario presso Croce Rossa. Presenti, per l’occasione, Autorità militari e civili, tra cui l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Jesi, Dottoressa Campanelli, che ha dato il benvenuto ai partecipanti.
La prolusione è stata tenuta dal neo eletto Presidente del Comitato locale, Dottor Bravi che ha esordito dicendo che «è importante che il messaggio partito oggi con quest’iniziativa di carattere pubblico sia accolto e recepito per il suo intrinseco valore. Perché – ha proseguito Bravi – i flussi migratori stanno diventando un problema sociale insopportabile di cui anche la Politica è responsabile. Proviamo commozione per il bambino fotografato privo di vita sulla riva del mare ma non riusciamo neppure a immaginare quante vittime mieta l’ondata di migrazione proveniente dalla Siria. Non è più tollerabile che un richiedente asilo attenda oltre un anno e mezzo per vedere riconosciuto il suo diritto inalienabile alla vita e alla sua dignità di persona umana. Un procedimento burocratico in cui l’Italia stenta a mettersi al passo con i Paesi ove i diritti umanitari dei migranti sono molto più difesi e assistiti».
L’intervento dell’avvocato Perozzi si è attestato sul Diritto Internazionale Umanitario dei conflitti armati e sui diritti umani. È nota, infatti, l’esperienza della Relatrice che ha ricoperto l’incarico di Giudice tutelare in Ascoli Piceno, è specializzata in Tutela Internazionale dei diritti umani, è Tutore volontario presso il Tribunale dei Minori nelle Marche, e ha partecipato a missioni umanitarie in Brasile e in Palestina.
«Alla violazione dei diritti umani – ha esordito Perozzi – non è neppure esente l’Italia, il Paese che più al mondo vanta una secolare tradizione culturale e di civiltà. Importante è riconoscere il problema, affrontarlo e correggere quello che è sbagliato. La Storia, tuttavia – ha proseguito la Relatrice –, testimonia che il riconoscimento dei diritti umani ha radici fino ai tempi di Ciro» (559-529 a.C.), il sovrano che per legittimare la propria conquista di Babilonia cercò di guadagnare il favore dei suoi nuovi sudditi promuovendo una forma di tolleranza religiosa e di libertà. Una parabola, quella del riconoscimento dei diritti fondamentali della Persona, che da quell’alba pre-cristiana arriva fino alla modernità e si attesta nella figura di Henry Dunant, primo Nobel per la Pace (1901), che nel 1859, anno della Battaglia di Solferino, getta le basi per la costituzione del movimento di Croce Rossa.
Perozzi ha ricordato che «durante la Seconda Guerra mondiale l’idea dei diritti umani è stata completamente messa in crisi e rinnegata, perché abbiamo assistito a forme di negazione di quei diritti, come la persecuzione degli Ebrei e di talune minoranze etniche per mano della Germania».
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è nata proprio al termine di quel conflitto mondiale (24 ottobre 1945), e vi aderirono 193 nazioni su 205, per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale” ma, in particolare, “per promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a vantaggio di tutti gli individui”.
Secondo la Relatrice, la nascita di Organismi come l’ONU, e la sua Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, dimostra «che c’è sempre la possibilità di risolvere a livello di diplomazia un’emergenza umanitaria come è quella contemporanea della migrazione».
Perozzi ha denunciato senza giri di parole che «la nazione, tra le 28 che aderiscono alla Comunità Europea, che più viola i diritti umani non applicando le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (1950), è l’Italia». Sembra impossibile ma è vero: la nazione ove Croce Rossa è nata, nelle intenzioni del suo Fondatore di lenire le sofferenze di quelli che giacevano feriti e agonizzanti nel campo di battaglia tra Solferino e Castiglion delle Stiviere, è proprio quella che incorre ripetutamente in sanzioni per il trattamento disumano che impone agli immigrati!
In particolare si denunciano ripetute limitazioni della libertà, violenza razzista e xenofoba in Rosarno, tortura per illegale respingimento di navi di migranti in Sicilia, discriminazione di minoranze etniche come Rom e Sinti; «in Italia – dice Perozzi – nessuno darebbe un lavoro a uno di loro, mentre è nota la condanna del nostro Governo per avere distratto fondi pervenuti dalla UE destinandoli a fini che non sono stati l’integrazione delle minoranze etniche ma il respingimento e il rimpatrio illegittimi di migranti perché fatti senza l’utilizzo dei più elementari princìpi di tutela della dignità umana».
«La lista delle violazioni nel mondo è lunga – ha detto la Relatrice. In 81 Paesi, le persone che dissentono da chi comanda sono torturate; in 54 Paesi si affrontano processi iniqui, senza garanzie giuridiche; in 77 Paesi al mondo esistono forti limitazioni della libertà di espressione, che giungono fino alla segregazione e alla scomparsa nel nulla dei perseguitati».
Alle violazioni dei più elementari diritti dell’uomo, denunciate dall’appassionata relazione dell’avvocato  Perozzi, ha fatto seguito l’esposizione dell’avvocato Marzia Como, proveniente da Gorizia, di provata esperienza professionale, anche al servizio di Croce Rossa in qualità di formatrice di Diritto Internazionale Umanitario per il personale di Guardia di Finanza, di Carabinieri e di Esercito Italiano destinato a missioni umanitarie nel mondo. Questa Relatrice ha trattato lo spinoso tema del Sistema di protezione internazionale dei richiedenti asilo, in termini di Diritto, dovere e opportunità.
L’avvocato Como ha detto che occorre dare il giusto significato ai termini migrante, profugo e rifugiato, perché così facendo si può «comprendere correttamente quello che accade realmente». Una testimonianza, la sua, che fa eco a quella del Delegato UNHCR Luca Pacini presso il Convegno Jesi, città accogliente? del 30 aprile scorso, secondo cui «si tende a generalizzare, perciò a confonderli, i concetti di “immigrato”, “rifugiato” e “richiedente asilo politico”». E sempre alle parole di Pacini si è riferita, seppure indirettamente, l’avvocato Como quando ha detto che «l’efficacia delle procedure e la capacità di definire lo status dei richiedenti asilo in breve tempo, senza sacrificare alcun diritto, rappresenta un’opportunità di miglioramento dell’esistenza di questi individui». E che «le criticità da tempo evidenziate per l’accoglimento della richiesta di asilo impongono un’attenta riflessione sull’esigenza di modificare la normativa, rendendola più rispondente alle necessità urgenti di questo tipo di migranti».
Sorella Cinzia Sorrentino, Crocerossina del Comitato di Fermo, ha testimoniato la buona qualità dello stile di vita dei cento profughi che adesso sono ospitati presso il seminario della sua Città: esperienza d’integrazione che tra avversità, progetti didattici e d’inserimento lavorativo e l’importante contributo del Volontariato locale, conferma la concreta speranza in una vita migliore per chi entra nel nostro Paese.
A legittimare questa speranza, non andata delusa, ha contribuito il breve intervento di Adolph, senegalese ospitato a Fermo, che ha parlato delle reali possibilità d’integrazione per lui trasformate in un impiego retribuito presso la lavanderia della comunità fermana in cui oggi vive.
La testimonianza di Adolph, come ha terminato la moderatrice Testadiferro, «è stata la sintesi del senso di questo Convegno dove, al centro del tema non ci sono né profughi né migranti né rifugiati ma Persone, parti di un’Umanità della quale non possiamo continuare ad aver paura, e che, al contrario, dobbiamo imparare a conoscere per rispettarla, pure nella sua diversità»…
Oreste Mendolìa Gallino



NUOVA VITA PER L'EX CONVENTO DEI PASSIONISTI DI MONTELATIERE

Quali prospettive poteva avere il Convento di Montelatiere, quello detto “dei Passionisti”?
Certo non positive, stante il suo abbandono che si è protratto per quasi vent’anni…
A salvarlo dall’anticamera del completo degrado ci ha pensato un uomo coraggioso e intraprendente qual è il sindaco di San Marcello, Pietro Rotoloni.
Già si sapeva, la voce era passata da bocca in bocca…
C’è sindaco e sindaco… Panem et circenses, diceva quel buontempone di Giovenale
Infatti, ci sono pure quelli che mutano il destino di un territorio con il loro genio creativo, soprattutto con un amore autentico e disinteressato per la terra dove sono nati e vissuti.
Vedi Rotoloni, appunto.
«Il Convento di Montelatiere – scrive Rotoloni – non era né opportuno né dignitoso» che si depauperasse ogni giorno e che terminasse per sempre di essere «da oltre un secolo, uno dei luoghi di San Marcello più carichi di storia, di spiritualità e di fascino particolare…».
Quella dignità, il primo Cittadino la ha restituita adoperandosi con coraggio e determinazione per acquistarlo e per individuarne «un utilizzo e una finalità d’ordine sociale».
Villa Oasi, questo è il nome del nuovo complesso sanitario che sostituirà il Convento, atto ad alloggiare pazienti affetti da disturbi alimentari (anoressia e bulimia). Sarà pressoché l’unico in Italia Centro-Sud, e si aggiungerà a quelli già esistenti in Bologna e suo territorio.
«Tutta la progettazione e la riqualificazione degli ambienti hanno tenuto presenti questa finalità, non solo di cura specializzata ma anche di riabilitazione, con la possibilità di apertura e d’interazione con l’esterno».
I lavori di restauro della chiesa destinata anche a teatro-auditorium con i locali annessi sono stati ultimati. Altri lavori comprendono una struttura residenziale riabilitativa inizialmente di soli 20 posti-letto autorizzati dalla Regione; cui si aggiungerà un nucleo residenziale distaccato, ove alloggiare fino a 60 persone per famigliari e per gli stessi ospiti e, soprattutto, per ospitare pazienti d’età pediatrica e i loro genitori.
Il sindaco Rotoloni mi riferiva poco tempo fa che Autostrade per l’Italia ha assunto l’impegno formale di piantumare centinaia di querce nel terreno circostante, per adibirlo a parco. Un modo “onorevole” per ripagare il nostro territorio del sacrificio di centinaia di ettari di verde reso necessario per la realizzazione della terza corsia della A14…
Attingo molte preziose informazioni dalla splendida pubblicazione editoriale che il sindaco Rotoloni ha affidato alla stesura del valente Collega Riccardo Ceccarelli, Il Convento di Montelatiere. Storia e prospettive.
Questo prezioso volume è stato presentato in occasione della festa che si è tenuta presso l’ex Convento il 21 agosto scorso, nella quale il progetto, in particolare i lavori già realizzati, è stato illustrato ai numerosissimi ospiti che sono accorsi, felici di riappropriarsi delle loro tradizioni.
La Messa è stata presieduta dal Vescovo Rocconi.
Al termine della serata, il sassofonista Mondelci e il Quintetto Postacchini, formato da Solisti dell’Orchestra da Camera delle Marche, hanno intrattenuto il pubblico con uno splendido concerto di musiche da Alessandro Marcello fino ad Astor Piazzolla.
Chi legge questa cronaca ha la (legittima) curiosità di sapere dove e in quale modo il sindaco Rotoloni ha “trovato” il fiume di denaro che gli è occorso (e gli occorrerà) per realizzare questo meraviglioso progetto.
Denaro pubblico, fondi richiesti (e ottenuti) dalla Comunità Europea! Facile a dirsi…
Tuttavia, basta essere lungimiranti e determinati come Rotoloni e lavorare per il bene della comunità, anche con cipiglio profetico, ma con un occhio attento alle necessità dei più deboli. E perché no?, anche con talento imprenditoriale.
Forse che non abbiamo già capito che il territorio della Vallesina sarà notevolmente trasformato da questa nuova realtà? Indotto e posti di lavoro, per dare vita a un servizio sociale che sposa il primo dei sette Princìpi di Croce Rossa, l’Umanità, cioè prendersi cura della fragilità umana.

Oreste Mendolìa Gallino

venerdì 1 aprile 2016

RICETTE DEL CUORE

Propongo la lettura di un libro di cucina e mi ricordo di Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (53).
Il libro è “Le nuove ricette del cuore”, a cura di Carla Sacchi Ferrero. Blu edizioni. € 10,00: una simphonia di odori e sapori di altri tempi, in cui 25 Autori, ciascuno con propria ricetta, propongono ricordi importanti della loro infanzia, oltre la foto di quand’erano piccini...
Un libro di “cucina ecumenica” giacché questi personaggi appartengono a varie Regioni nazionali e altri Paesi del mondo.
Un progetto editoriale che punzecchia uno dei tanti talloni di Achille della nostra società: lo spreco e la diseguaglianza, “inequità” sociale, come la definisce Papa Francesco.
Non dimentico che viviamo l’Anno giubilare della Misericordia. Misericordia che non è soltanto “perdonare” ma accoglimento dell’altro come tessera dell’enorme puzzle che è l’Umanità in cammino verso la Cristificazione dell’Universo.
Un libro la cui vendita “alimenta” le attività di recupero e di redistribuzione del cibo della Fondazione Banco Alimentare Onlus, «che con la collaborazione di un piccolo esercito di volontari raccoglie e distribuisce migliaia di tonnellate di eccedenze alimentari a chi ne ha bisogno in tutta l’Italia. Chi non conosce, per esempio, la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare?».
Tra questi Autori ci sono nomi grossi: Alberto Bevilacqua e lo stracotto parmense che riuscirà bene alla zia Maria perché glielo hanno detto i tarocchi; poi c’è il padre del Commissario Montalbano che propone la “munnizza” siciliana di Elvira, detta materfamilias: una sorta di «panettone variopinto» che l’anziana nonna di Camilleri portò “coraggiosamente” sulla tavola dopo l’ammutinamento della famiglia che – seppure in pieno secondo conflitto mondiale – «si scatenò al grido: “Basta verdura!”».
Si uniscono alla schiera dei ricordi Sergio Chiamparino e Cristina Comencini, il defunto Faletti ed Elena Loewenthal, Folco Quilici, Lidia Ravera e molti altri.
Sono ricordi lontani ma li sentiamo vicini, in mezzo a noi, grazie al linguaggio da focolare che gli Autori usano liberandosi della fama che li ha resi quasi inavvicinabili.
Personalmente lo raccomando per una lettura quasi “terapeutica”, dell’animo, naturalmente.
Perciò, la posologia che suggerisco è: una ricetta il giorno.
Per togliere le cose inutili d’intorno.
E riappropriarci dei valori della famiglia che si ritrova attorno a una tavola per rinsaldare i legami e le tradizioni in pericolo di estinzione…

Oreste Mendolìa Gallino

giovedì 31 marzo 2016

DIARIO DI UN DIALIZZATO

Ogni volta che entro in quel Reparto è come se avvertissi un pugno allo stomaco.
Sono Volontario TS di Croce Rossa; ci vado a “prelevare” i dializzati che fanno il “trattamento”: una seduta di emodialisi dura circa tre ore, a giorni alterni, appunto…
La divisa che porto non mi permette emozioni ma credo che pagherei volentieri per la lezione di Vita che mi offre quest’esperienza ogni volta che la indosso.
Perciò, faccio il mio lavoro: non devo commentare e devo parlare il meno possibile.
Le parole che ho dentro, tuttavia, sono la “versione” intima di quelle emozioni che non posso lasciare uscire da me.
È una forma di rispetto per chi soffre.
Già! Il silenzio che dobbiamo avere davanti al mistero della sofferenza.
Silenzio quasi orante, rispettoso di un enigma che ha risposte soltanto in Dio.
Parlo del mio servizio (diaconia, come lo chiamo io) che, di tanto in tanto, secondo i miei turni, svolgo presso l’Unità Operativa Nefrologiae Dialisi del Nuovo Presidio Ospedaliero “Carlo Urbani” in Jesi.
Certo sono preparato a tamponare una fistola che d’un tratto impazzisce e perde sangue.
Non credo, però, che mi sentirò mai preparato a separare emozioni da protocolli…
Non credo che lo siano anche molti tra coloro che fanno certi mestieri…
Forse non sarò mai un buon “soccorritore”, ma credo che quest’esperienza sia la scuola presso la quale dovrò sostenere esami tutti i giorni: prove che la Vita mi fa sostenere perché io impari a capire, almeno con gli strumenti umani che ho a disposizione, la sofferenza, e per fare esercizio di umiltà.
L’altro giorno sono entrato in quell’Unità; solito turno di routine: alcuni dializzati che, terminata la terapia, devono rientrare a casa.
Nell’attesa, il mio fiuto per i libri mi fa intercettare una pila di libretti con la stessa copertina.
Ne prendo uno e mi accorgo subito che è il Diario di un dializzato.
Lui è Giorgio Candelaresi che ha scritto e pubblicato “Un giorno sì, un giorno no” (Ventura edizioni, Senigallia. € 12,00).
È la testimonianza della sua esperienza, dedicata a Papa Francesco e al Vescovo Gerardo. L’ispirazione è presa dal libro del Servita e biblista Maggi, autore di “Chi non muore si rivede”: altro “diario”, quello, di una lunga sofferenza di malattia.
Candelaresi è uomo di cultura: docente e politico chiaravallese, vanta amicizie con Vito Mancuso e Don Ciotti. Scrive in modo fluente, non è retorico e parla della sua esperienza senza lesinare concretezza mentre afferma che «la relazione tra le persone, caratterizzata da empatia, è la base della nostra vita ed è necessaria la relazione con l’altro».
È un assioma esistenziale comune, spesso ignorato nella prassi, ma è chiaro che Candelaresi parla del clima quasi famigliare che s’instaura tra il Personale operativo e i Pazienti presso un’Unità del genere.
In realtà, credo che quest’agile libretto, oltre che essere una valida operazione di bonifica della tensione emotiva che la dialisi procura e incide indelebile nell’animo del malato, sia un utile strumento di riflessione che l’Autore mette a disposizione e del quale io gli sono grato.
Sempre che abbiamo voglia di fermarci a riflettere, imprimere nel nostro cuore un pizzico di umiltà e seminarvi un briciolo di saggezza.
Quella che ci dovrebbe stimolare a saper separare l’utile dall’inutile.
Ci circondiamo troppo del frastuono di tante cose superflue: forse perché tentiamo di nascondere la nostra sistematica fragilità, la nostra endemica provvisorietà.
Credo che dobbiamo essere grati a Candelaresi per averci offerto questa testimonianza del suo impatto con il dolore e sulla precarietà della condizione umana.
Proprio per questo motivo dico che pagherei per imparare la lezione di Vita che mi offre questo servizio di Volontariato…

Oreste Mendolìa Gallino


CRONO-STORIA DI UN SECOLO DI VITA MONSANESE

Il Palio di San Vincenzo di Monsano, la manifestazione folckloristica più antica e longeva della Vallesina, quest’anno celebra la 43a edizione.
La Pro-Loco locale, che organizza e gestisce la manifestazione insieme all’Amministrazione comunale, ha in programma la cooperazione nella promozione editoriale di una pubblicazione storica che proporrà ai Cittadini residenti, anche con il cosiddetto “porta-a-porta”.
L’idea è nata dal Parroco storico del Comune alle porte di Jesi, Don Savino Capogrossi, oggi a riposo, per alcuni decenni a capo della comunità religiosa che fa riferimento alle quattro chiese locali, San Pietro, SS. Sacramento, Santa Maria fuor di Monsano e Aroli.
Nella sua compilazione, collaboratore autorevole e infaticabile di Don Savino è stato il Geom. Stefano Fabrizi, che possiede migliaia di reperti storici fotografici e documentali della storia monsanese.
Il libro in questione, curato da chi firma quest’articolo, nella veste di autore del progetto grafico ed Editore, s’intitola: Piccola crono-storia di un secolo di vita della Comunità di Monsano. Rivalutiamo il passato per affrontare meglio il futuro.
«Per me – dice Don Savino – un block notes è stato sempre un insieme di fogli di carta su cui prendere appunti, per copiare, abbozzare programmi, schizzare disegni...
Fogli che mi sono serviti, forse, anche per costruire barchette e aereoplanini di carta... come dire sogni impossibili. Alla fine è restato nel cassetto un pro-memoria che, insieme ad altra “cronaca”, quella dei Parroci che mi hanno preceduto, è questo “libretto” che oggi viene pubblicato, con il nome di Piccola crono-storia...
Mi auguro che venga letto, magari solo per curiosità, soprattutto dai “nuovi” cittadini,  perché anch’essi – conoscendo la storia e le tradizioni locali – possano apprezzarle e rispettarle. I numeri della memoria possono essere descritti; il cuore e le sue opere sono nel ricordo degli uomini e nelle mani di Dio».
L’agile volumetto, di sole 60 pagine, è il numero “zero” della Collana Musianum. Il logo di questa interessante Collana (che già prevede pubblicazioni annue almeno fino al 2024!) è rappresentato dal dipinto della “Danza di Apollo con le Muse”, di Giulio Romano (Firenze, Palazzo Pitti - Galleria Palatina), inscritto in una ghirlanda di alloro; esso vuole descrivere la nascita dell’antica denominazione di Monsano e le sue lontane origini, come riportato, in passato, dagli storici: “...il Lauritum sacro ad Apollo (da cui l’Arola o Santa Maria degli Aroli) e la Contrada Musianum, o bosco sacro alla Muse, intrecciano la loro storia. Insomma il Lauritum e il Musianum si fanno luce a vicenda“ (cfr. Annibaldi Giovanni, sen, L’Arola o Santa Maria degli Aroli, Chiaravalle, 1887, pag. 84, nota 21).
«L’identità collettiva di una Comunità e la sua cementificazione – così nella Presentazione del libro – in poche parole il suo destino, stanno nel dialogo che essa riesce a stabilire con la diversità, soprattutto in una società multietnica, multiculturale e globalizzata com’è quella del Terzo Millennio. L’alterità, infatti, è sempre e comunque un’occasione di confronto e di arricchimento reciproco. Essa va vissuta con spirito di cooperazione e di mediazione, nella solidarietà autentica e schietta che dev’esserci tra le parti che sono chiamate a dialogare tra loro. Lo scambio è sempre un dono, un incontro tra due realtà, spesso tra due culture che, anche se molto diverse, devono imparare a interagire per il ben-essere comune e hanno tutto l’interesse per farlo senza discriminazioni».
L’augurio del Curatore dell’opera è che una Comunità, senza rinnegare le proprie tradizioni, costruisce il proprio futuro «sulla forza di persuasione che hanno i giovani e i loro ideali, nella comunione e nel dialogo continui con l’alterità, di cui i giovani – appunto – sono sempre stati i campioni...».

Oreste Mendolìa Gallino

mercoledì 9 marzo 2016

LA DEMOCRAZIA TRA CRISI E TRASFORMAZIONE

La Rassegna degli Incontri Culturali 2015/2016, organizzata dalla Diocesi di Jesi, Biblioteca Petrucciana, e dal Comune di Jesi, Assessorato alla Cultura, Biblioteca Planettiana è terminata il 19 febbraio scorso. Ospite presso la Planettiana è stato il Prof. Stefano Petrucciani, docente di Filosofia Politica presso La Sapienza di Roma, che ha presentato una riflessione su Democrazia tra crisi e trasformazione.
Ovvio pensare che la crisi della Democrazia sia in stretta relazione «già da qualche anno, non solo in Italia, col fenomeno preoccupante della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni rappresentative». Un fenomeno talmente dilagante che, secondo Petrucciani, non poteva sfuggire alla riflessione degli esperti, vista la «grande fioritura di studi e di libri che, già dai titoli, danno la percezione di un interrogarsi su una situazione che è percepita come difficile e di crisi».
Quali sono i motivi delle numerose difficoltà di una Democrazie senza Democrazia, per citare uno di quei libri, quello di Massimo Salvadori?
Il Relatore ne ha proposti alcuni, che qui sintetizzo per la riflessione del Lettore.
Il primo, la “verticalizzazione della Politica”. Viviamo il tempo della Politica del leader; da qui alla crisi della Democrazia il passo è breve: un leader è uomo forte e rappresentativo di un’idea politica, che supplisce alla «riduzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica dei partiti» e, al tempo stesso, è specchio dell’«indebolimento del ruolo degli organismi parlamentari; sempre più spesso, infatti, i Parlamenti sono costretti a votare grandi pacchetti legislativi preconfezionati» sui quali non esistono confronto e dibattito e che, perciò, s’impongono senza un dialogo tra le parti. È il cosiddetto ricorso, vizio ormai inveterato, al “voto di fiducia” che è cartina di tornasole della spoliazione del dibattito parlamentare e, non meno, strategia della riforma che mira ad aumentare i poteri del Presidente del Consiglio (il cosiddetto “premierato forte”, tanto per intenderci).
Figure di questo tipo impongono un’attenta riflessione sul rapporto tra Politica e potere comunicativo, potere mediatico. È «un problema molto serio – secondo Petrucciani –, perché l’intreccio ormai si è fatto fortissimo e questo porta alla mediatizzazione della politica e riduce il cittadino a semplice spettatore». Petrucciani denuncia «la trasformazione della Politica che deve necessariamente seguire il modello del marketing, che s’ispira allo slogan accattivante (cfr. Podemos in Grecia, Yes, we can! di Obama, Perchéno? di J.F. Kennedy ecc.) e al personaggio seducente che riesce a proporlo al pubblico. Il rischio è che non si possa più proporre un ragionamento complesso, poiché la comunicazione con questi strumenti dev’essere estremamente rapida e basata sull’immagine, quindi porta a svuotare la possibilità di ragionare con maggiore attenzione sulle questioni e di conoscerle in modo più approfondito».
«Messaggi troppo complicati e riflessivi – prosegue Petrucciani –, rischiano di smarrire la strada per prevalere in questo tipo di mercato politico. Il potere dei media è capace di creare e distruggere personaggi, ed è un dominio fortemente concentrato. I grandi conglomerati che controllano i media nel mondo sono pochi e hanno la possibilità di influenzare il pubblico e portarlo al sostegno di questo o di quel leader».
Tutti sanno che RupertMurdock, fondatore e proprietario di un vasto conglomerato economico specializzato nel settore dei mezzi di comunicazione di massa, ha sostenuto Margaret Thatcher e Tony Blair (campagne elettorali Anni 90) e quella recente di David Cameron.
E dopo il Ventennio berlusconiano chi può mettere ancora in dubbio l’intreccio tra potere economico, politico e mediatico che ha prodotto incontrollati interessi perversi e incestuosi?
Certo è che in questo clima di esautoramento della funzione democratica in mano ai Cittadini, essi non possono fare altro che sentirsi sempre meno rappresentati e, di conseguenza, sviluppare un certo risentimento. Questo “rancore” è aggravato dalla «traslazione della decisione politica dal livello nazionale a quello sovrannazionale, in un’atmosfera che è molto più impermeabile rispetto al dibattito politico» indigeno di ciascuno Stato.
La crisi economica, per esempio, ha mostrato il notevole rimaneggiamento dell’esercizio democratico proprio di una nazione, perché, sempre più spesso, le politiche – in particolare quelle economiche – sono stabilite, quasi imposte, dall’Unione e dalla Banca europee. Sintomatico di questa situazione dagli accenti kafkiani è che lo stesso Jürgen Habermas (storico e sociologo tedesco della “Scuola diFrancoforte”), fortemente europeista, ha detto che “non era mai successo che Governi eletti dal popolo fossero sostituiti senza esitazioni da  persone direttamente portavoce dei mercati” (Monti, in Italia e Papadīmos, in Grecia, tanto per citarne un paio…).
Secondo il Professor Petrucciani, un terzo motivo di riflessione sulla crisi della Democrazia è rappresentato dallo sfaldamento della contrapposizione politica tra Destra e Sinistra, uno scenario d’interessi contrapposti – nella prima, quelli della borghesia; nella seconda, quelli del proletariato ­– nato durante la Rivoluzione Francese. È parere del Relatore «che, negli ultimi anni, si sia rotta la simmetria tra dialettica politica e dialettica sociale, nel senso che una serie di strati sociali più o meno svantaggiati non ha più trovato una rappresentanza nell’ala sinistra dello schieramento politico e probabilmente se la è andata a cercare altrove, a Destra». In breve: la Sinistra non è più stata capace di rappresentare, tanto meno di tutelare, avendo tra le proprie fila un interlocutore carismatico, «gli strati sociali perdenti della globalizzazione (il lavoro industriale, l’operaio industriale in Italia, oppure i ceti popolari delle periferie urbane alle prese con un tessuto che si degrada in seguito ai flussi migratori)».
Figlie di questa perdita d’identità sono le cosiddette forze “populiste” (Movimento 5 Stelle, Lega Nord), «che hanno assunto la rappresentanza del disagio e del risentimento dei perdenti della globalizzazione e che sfruttano il risentimento degli strati sociali colpiti da queste trasformazioni», per assumerlo come strategia della propria politica alternativa.
Se, dunque, da questo scenario emerge la fotografia di una Democrazia “malata”, quali sono i rimedi per guarirla?
Senza dubbio non si può fare a meno della ricetta di NorbertoBobbio, il grande pensatore, filosofo, giurista, storico, politologo e senatore torinese (1909-2004) che sosteneva che nel “gioco” democratico non possono mancare determinate regole: libere elezioni, pluralità di partiti, libertà di discussione, confronto aperto nell’opinione pubblica, politica parlamentare). Mica uno qualunque, Bobbio, che negli Anni 20 condivise il Liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino con Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Cesare Pavese!
Altro “farmaco” per rinvigorire la Democrazia sta nella “sostanza” concreta e reale dei diritti dei Cittadini, diritti sostanziali che rendono qualunque Cittadino un individuo libero, non dipendente da altri, non a rischio di emarginazione e di povertà; diritti che la Costituzione recita senza fraintendimenti. Ché se Democrazia significa “potere di tutti” (del popolo, della gente), tutti, allora, hanno diritto a voto, libertà politiche e pluralismo, a cittadinanza sociale e inclusione sociale. Tutti hanno diritto istruzione, cultura e salute, assistenza sociale, lavoro e assistenza pensionistica. Nessuno può fare a meno di queste fondamenta inalienabili nella vita di ogni essere umano; «la democrazia, infatti, – secondo Petrucciani – porta in sé una tensione tra ciò che essa è realmente capace di fare e dare e la sua capacità di rafforzare il potere dei Cittadini».
E se «la Democrazia è dinamica, processo inarrestabile, che non si compiace dei risultati conseguiti», la ricetta per tenerla in vita sta nella sua capacità «di guadagnare nuovi fronti, di superare tutti gli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo della Persona umana e del Cittadino».
Certo è che il senso del “bene comune” rispetto a quello privato, la solidarietà civica e l’interesse per la “cosa” pubblica, è un argomento – seppure complesso e articolato – essenziale per il destino della Democrazia.
«Purtroppo – conclude il Professor Petrucciani – la storia italiana è una parabola di frammentazione politica che altri Paesi non hanno avuto. L’Italia ha costruito un’identità collettiva molto tardivamente: un cammino che essa ha fatto tra molte difficoltà. Il nostro è un Paese che ha urgente bisogno di ritrovare il senso di comunione e di comunità civiche sforzandosi di superare spiriti settari e particolaristici, lontani dal concetto di Nazione, che nella sua storia sono stati sempre molto forti».
Concludo questo intervento ricordando quello che, nel 1999, scriveva la Professoressa Sandra Ponzanesi, Capo Dipartimento di Discipline storiche dello UniversityCollege di Utrecht: «Per comprendere il processo di multiculturalizzazione in atto, è necessario in primo luogo ripensare la nozione di identità italiana: un concetto che appare piuttosto controverso negli anni Novanta. L’Italia, che si proietta al mondo esterno come il Paese del made in Italy e della corruzione politica, non coincide con un’area culturalmente coesa. Il recente movimento della Lega Lombarda, che propone uno stato federale in cui il Nord possa essere separato dal resto del Paese, è solo la recente espressione di una lunga storia di differenziazioni linguistiche, politiche ed economiche».

Oreste Mendolìa Gallino