La Rassegna degli Incontri Culturali 2015/2016,
organizzata dalla Diocesi di Jesi, Biblioteca Petrucciana, e dal Comune di
Jesi, Assessorato alla Cultura, Biblioteca Planettiana è terminata il 19
febbraio scorso. Ospite presso la Planettiana
è stato il Prof. Stefano Petrucciani, docente di Filosofia Politica presso La Sapienza di Roma, che ha presentato
una riflessione su Democrazia tra crisi e
trasformazione.
Ovvio pensare che la crisi
della Democrazia sia in stretta relazione «già da qualche anno, non solo in Italia,
col fenomeno preoccupante della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti
delle Istituzioni rappresentative». Un fenomeno talmente dilagante che, secondo
Petrucciani, non poteva sfuggire alla riflessione degli esperti, vista la «grande
fioritura di studi e di libri che, già dai titoli, danno la percezione di un
interrogarsi su una situazione che è percepita come difficile e di crisi».
Quali sono i motivi delle
numerose difficoltà di una Democrazie senza Democrazia, per citare uno di quei libri, quello di Massimo Salvadori?
Il Relatore ne ha proposti
alcuni, che qui sintetizzo per la riflessione del Lettore.
Il primo, la “verticalizzazione
della Politica”. Viviamo il tempo della Politica del leader; da qui alla crisi della Democrazia il passo è breve: un leader è uomo forte e rappresentativo di
un’idea politica, che supplisce alla «riduzione della partecipazione dei
cittadini alla vita politica dei partiti» e, al tempo stesso, è specchio
dell’«indebolimento del ruolo degli organismi parlamentari; sempre più spesso,
infatti, i Parlamenti sono costretti a votare grandi pacchetti legislativi preconfezionati»
sui quali non esistono confronto e dibattito e che, perciò, s’impongono senza
un dialogo tra le parti. È il cosiddetto ricorso, vizio ormai inveterato, al “voto di fiducia” che è cartina di
tornasole della spoliazione del dibattito parlamentare e, non meno, strategia
della riforma che mira ad aumentare i poteri del Presidente del Consiglio (il
cosiddetto “premierato forte”, tanto per intenderci).
Figure di questo tipo impongono
un’attenta riflessione sul rapporto tra Politica e potere comunicativo, potere
mediatico. È «un problema molto serio – secondo Petrucciani –, perché
l’intreccio ormai si è fatto fortissimo e questo porta alla mediatizzazione della politica e riduce
il cittadino a semplice spettatore». Petrucciani denuncia «la trasformazione
della Politica che deve necessariamente seguire il modello del marketing, che s’ispira allo slogan accattivante (cfr. Podemos in Grecia, Yes, we can! di Obama, Perchéno? di J.F. Kennedy ecc.) e al personaggio seducente
che riesce a proporlo al pubblico. Il rischio è che non si possa più proporre
un ragionamento complesso, poiché la comunicazione con questi strumenti dev’essere
estremamente rapida e basata sull’immagine, quindi porta a svuotare la
possibilità di ragionare con maggiore attenzione sulle questioni e di
conoscerle in modo più approfondito».
«Messaggi troppo complicati
e riflessivi – prosegue Petrucciani –, rischiano di smarrire la strada per
prevalere in questo tipo di mercato politico. Il potere dei media è capace di creare e distruggere
personaggi, ed è un dominio fortemente concentrato. I grandi conglomerati che
controllano i media nel mondo sono
pochi e hanno la possibilità di influenzare il pubblico e portarlo al sostegno
di questo o di quel leader».
E dopo il Ventennio
berlusconiano chi può mettere ancora in dubbio l’intreccio tra potere
economico, politico e mediatico che ha prodotto incontrollati interessi
perversi e incestuosi?
Certo è che in questo clima
di esautoramento della funzione democratica in mano ai Cittadini, essi non possono
fare altro che sentirsi sempre meno rappresentati e, di conseguenza, sviluppare
un certo risentimento. Questo “rancore” è aggravato dalla «traslazione della
decisione politica dal livello nazionale a quello sovrannazionale, in
un’atmosfera che è molto più impermeabile rispetto al dibattito politico»
indigeno di ciascuno Stato.
La crisi economica, per
esempio, ha mostrato il notevole rimaneggiamento dell’esercizio democratico
proprio di una nazione, perché, sempre più spesso, le politiche – in
particolare quelle economiche – sono stabilite, quasi imposte, dall’Unione e
dalla Banca europee. Sintomatico di questa situazione dagli accenti kafkiani è
che lo stesso Jürgen Habermas (storico e sociologo tedesco della “Scuola diFrancoforte”), fortemente europeista, ha detto che “non era mai successo che
Governi eletti dal popolo fossero sostituiti senza esitazioni da persone direttamente portavoce dei
mercati” (Monti, in Italia e Papadīmos, in Grecia, tanto per citarne un paio…).
Secondo il Professor
Petrucciani, un terzo motivo di riflessione sulla crisi della Democrazia è
rappresentato dallo sfaldamento della contrapposizione politica tra Destra e
Sinistra, uno scenario d’interessi contrapposti – nella prima, quelli della
borghesia; nella seconda, quelli del proletariato – nato durante la
Rivoluzione Francese. È parere del Relatore «che, negli ultimi anni, si sia
rotta la simmetria tra dialettica politica e dialettica sociale, nel senso che
una serie di strati sociali più o meno svantaggiati non ha più trovato una
rappresentanza nell’ala sinistra dello schieramento politico e probabilmente se
la è andata a cercare altrove, a Destra». In breve: la Sinistra non è più stata
capace di rappresentare, tanto meno di tutelare, avendo tra le proprie fila un
interlocutore carismatico, «gli strati sociali perdenti della globalizzazione
(il lavoro industriale, l’operaio industriale in Italia, oppure i ceti popolari
delle periferie urbane alle prese con un tessuto che si degrada in seguito ai
flussi migratori)».
Figlie di questa perdita
d’identità sono le cosiddette forze “populiste” (Movimento 5 Stelle, Lega Nord),
«che hanno assunto la rappresentanza del disagio e del risentimento dei
perdenti della globalizzazione e che sfruttano il risentimento degli strati
sociali colpiti da queste trasformazioni», per assumerlo come strategia della
propria politica alternativa.
Se, dunque, da questo
scenario emerge la fotografia di una Democrazia “malata”, quali sono i rimedi
per guarirla?
Senza dubbio non si può fare
a meno della ricetta di NorbertoBobbio, il grande pensatore, filosofo, giurista, storico, politologo e senatore
torinese (1909-2004) che sosteneva che nel “gioco” democratico non possono mancare
determinate regole: libere elezioni, pluralità di partiti, libertà di
discussione, confronto aperto nell’opinione pubblica, politica parlamentare).
Mica uno qualunque, Bobbio, che negli Anni 20 condivise il Liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino con Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Cesare Pavese!
Altro “farmaco” per rinvigorire
la Democrazia sta nella “sostanza” concreta e reale dei diritti dei Cittadini,
diritti sostanziali che rendono
qualunque Cittadino un individuo libero, non dipendente da altri, non a rischio
di emarginazione e di povertà; diritti che la Costituzione recita senza
fraintendimenti. Ché se Democrazia significa “potere di tutti” (del popolo,
della gente), tutti, allora, hanno diritto a voto, libertà politiche e
pluralismo, a cittadinanza sociale e inclusione sociale. Tutti hanno diritto istruzione,
cultura e salute, assistenza sociale, lavoro e assistenza pensionistica.
Nessuno può fare a meno di queste fondamenta inalienabili nella vita di ogni
essere umano; «la democrazia, infatti, – secondo Petrucciani – porta in sé una
tensione tra ciò che essa è realmente capace di fare e dare e la sua capacità
di rafforzare il potere dei Cittadini».
E se «la Democrazia è
dinamica, processo inarrestabile, che non si compiace dei risultati conseguiti»,
la ricetta per tenerla in vita sta nella sua capacità «di guadagnare nuovi
fronti, di superare tutti gli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo
della Persona umana e del Cittadino».
Certo è che il senso del
“bene comune” rispetto a quello privato, la solidarietà civica e l’interesse
per la “cosa” pubblica, è un argomento – seppure complesso e articolato –
essenziale per il destino della Democrazia.
«Purtroppo – conclude il
Professor Petrucciani – la storia italiana è una parabola di frammentazione
politica che altri Paesi non hanno avuto. L’Italia ha costruito un’identità
collettiva molto tardivamente: un cammino che essa ha fatto tra molte
difficoltà. Il nostro è un Paese che ha urgente bisogno di ritrovare il senso
di comunione e di comunità civiche sforzandosi di superare spiriti settari e
particolaristici, lontani dal concetto di Nazione, che nella sua storia sono
stati sempre molto forti».
Concludo questo intervento
ricordando quello che, nel 1999, scriveva la Professoressa Sandra Ponzanesi, Capo
Dipartimento di Discipline storiche dello UniversityCollege di Utrecht: «Per
comprendere il processo di multiculturalizzazione in atto, è necessario in
primo luogo ripensare la nozione di identità italiana: un concetto che appare
piuttosto controverso negli anni Novanta. L’Italia, che si proietta al mondo
esterno come il Paese del made in Italy
e della corruzione politica, non coincide con un’area culturalmente coesa. Il
recente movimento della Lega Lombarda, che propone uno stato federale in cui il
Nord possa essere separato dal resto del Paese, è solo la recente espressione
di una lunga storia di differenziazioni linguistiche, politiche ed economiche».
Oreste Mendolìa Gallino