Ho particolarmente apprezzato il curriculum vitæ della Prof.ssa Francesca
Brezzi, che insegna Filosofia Morale presso l’Università di Roma Tre; vi ho
trovato una cifra impressionante di pubblicazioni scientifiche: il risultato di
una carriera straordinaria di studiosa e d’insegnante. È farle torto riferire
qui soltanto, per esigenze di spazio, che è Delegata del Rettore per le Pari
opportunità-Studi di genere, Presidente dell’Osservatorio studi di Genere,
parità e pari opportunità (GIO), costituito con le Università La Sapienza, Tor
Vergata e Roma Foro italico, unica Italiana presente al First Women Inspiring Europe Calendar 2011 ideato dall’EIGE, European Institute for Gender Equality.
Su questa Donna e Filosofa di grandi valore e
prestigio [che va fiera dei suoi studi sulle insigni filosofe che ne hanno
forgiato il carattere, Weil (1909-1943), Arendt (1906-1975), Stein (1891-1942),
Zambrano (1904-1991)] è caduta la scelta felice di aprire la Rassegna Incontri Culturali 2015/2016
organizzata dalla Biblioteca Diocesana “Pier Matteo Petrucci”, che in Mons.
Attilio Pastori ha il dominus e il
mentore, dal Comune di Jesi e da Jesi Cultura, e che si è aperta venerdì 20
novembre presso la Biblioteca Planettiana. La conferenza è stata preceduta da
una breve presentazione dell’Assessore alla Cultura, Dottor Butini e da un’introduzione
dell’Avvocato Professor Animali che, insieme alla Prof.ssa Rita Santini, cura
la Rassegna.
Soprattutto a causa degli ultimi accadimenti, che
sconvolgono la coscienza d’ogni cittadino del mondo, la Relatrice si è fatta
portavoce di una proposta interessante: «La situazione contemporanea esprime
una sorta di fame di Etica, perché non è vero che l’Etica è finita o che non
sia presente nella nostra riflessione». La sua meditazione ha preso avvio dalla
denuncia che la Filosofia «che s’impone dall’alto come verità apodittica, una
Filosofia dell’affermare e “sistematica”» non ha più senso, perché non risponde
alle esigenze della “crisi” in atto, crisi
intesa nel suo significato etimologico di “passaggio”, di “trasformazione”,
resi necessari dall’attraversamento del guado che la Persona compie consapevole
dell’inquietudine che porta in sé, alla ricerca di un approdo che le consenta
di affrontare adeguatamente la sfida della contemporaneità.
È in atto «un’Etica inquieta e problematica, dove il
termine “problematico” – secondo Brezzi – ha una valenza positiva, perché evidenzia
una serie di elementi positivi legati alla ricchezza delle nuove proposte
etiche. Certo, è una problematicità che si coniuga in maniera positiva perché è
“ricchezza”, pluridimensionalità, in un patrimonio dove si possono individuare
percorsi alternativi, nuovi e importanti, legati alle nuove domande
contemporanee». Brezzi ritiene, infatti, che la contemporaneità esprima «una
sorta di fame di Etica» ma che «bisogna stare attenti che questa fame non sia
soddisfatta con cibo avariato». Evitare un’intossicazione significa sforzarci di
«continuare a
pensare e cercare di comprendere», perché nel particolare momento critico «che
stiamo vivendo, il compito è comprendere le ragioni profonde dei gesti e degli
accadimenti».
Comprendere
e capire è un atto di responsabilità che mette in discussione le certezze del
passato, prima fra tutte che la razionalità del “cogito” cartesiano (Io penso, dunque sono, esisto) non è più
sufficiente per dare risposte: “Allora, io, chi sono? Se non sono l’essere
razionale che Cartesio, rassicurandoci, ci aveva proposto, chi sono, io?”. La
risposta a questa domanda è prendere atto che un soggetto nuovo si sta
costruendo, «non un soggetto vuoto, come diceva Cartesio, ma un soggetto che si
definisce “soggetto altro”». È l’essere umano scopre in sé la diversità, prima
fra tutte quella di genere, non
ultima quella di essere un soggetto relazionale, capace di confrontarsi con
l’altro da sé. Se l’uomo cartesiano era piegato su se stesso, quello
contemporaneo è rivolto al di fuori di sé, verso un universo complesso e articolato,
in cui scopre che la diversità è luogo di ricchezza, luogo di confronto col mondo.
È la visione positiva del soggetto reciproco,
non più egocentrico.
L’analisi
della Professoressa Brezzi scava a fondo su questa condizione della Persona
umana come cittadino di un mondo allargato, e lo fa proponendo l’immagine del
soggetto che, anagrammando se stesso,
non è più monade (uno e singolo) ma nomade, individuo incamminato verso
un’Etica pluralistica e condivisa. È evidente la posizione della Relatrice secondo
cui un soggetto relazionato, che vive in una comunità, debba almeno tentare di disegnare
un Ethos pluralistico che gli consenta di dirsi “cittadino europeo”. Alla
domanda “Quale Ethos per l’Europa?”, Brezzi risponde che si tratta di una vera
e propria sfida: «si tratta di continuare il viaggio, si tratta di cercare
ancora, soprattutto avendo qualche certezza in un percorso che sarà senza
dubbio accidentato. Una di queste certezze è che questo viaggio, che è un
viaggio di esperienza, non è puramente pensato». Contrariamente al solito
intercalare, la Filosofia, è radicata nella realtà, nella contingenza… E che «le
certezze assolute sono pericoli da evitare; pericoli come i fondamentalismi,
gli integralismi, l’indifferenza». Riguardo all’indifferenza, «Nietzsche ha una
espressione molto bella: “Il deserto avanza; guai a chi fa avanzare il deserto”.
Il deserto è dato dall’indifferenza».
Quanto
deserto c’è intorno a noi? Se le risposte sono «timide e balbettanti – incalza
Brezzi – la soluzione sta nel cercare valori unitari e di convivenza». Primo
fra tutti quello la Cultura, «fattore fondamentale d’integrazione dell’Europa.
Bisogna ricominciare a pensare all’Europa come a un insieme di culture che
possono alimentare un processo d’integrazione, altrimenti, il rischio è
soltanto quello degli scontri, della guerra».
Quello
proposto è un Ethos nel cui nucleo vi sono il valore del rispetto e la
valorizzazione delle differenze: «un pluralismo etico – dice Brezzi – basato su
valori condivisi fondamentali (libertà, pace, tolleranza, rispetto della
Persona umana, accoglienza, ospitalità…) cui le differenze portano nuova ricchezza».
Cittadinanza europea è, secondo la Relatrice, cittadinanza non indifferente. A suo
parere, il “pensiero appassionato” della filosofa Hannah Arendt è lo stesso che
ha animato alcune Donne e Filosofe: come la stessa Arendt, pure Weil e Stein
(in religione Teresa Benedetta della
Croce, dichiarata Santa da Giovanni Paolo II nel 1998 e l’anno successivo
Compatrona d’Europa) permettendo loro di avvertire il dramma che l’Europa visse
durante la Seconda Guerra mondiale: tragedia di lacerazione dell’identità
comune fondata sulle radici del Cristianesimo.
Dare
spazio alle passioni civiche nella città, quindi ri-fondare la Polis, ri-fondare
la comunità è la proposta cui la Professoressa Brezzi chiede di prestare grande
attenzione. E per farlo cita il filosofo francese Paul Ricoeur, colui che
ritenne fondamentali i “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche e Freud) che definirono
come falsa scienza quella di origine cartesiana. Ricoeur propose tre percorsi
per realizzare un Ethos nuovo per l’Europa. Quelli delle memorie condivise e
del perdono fanno appello alla necessità di mettere a confronto vittime e
carnefici, per ricordare il passato. Una sorta di evocazione di ciò che accadde
nel post apartheid sudafricano, dove,
grazie alla collaborazione tra Mandela e l’Arcivescovo Tutu, si scongiurarono
le vendette e si promosse un Ethos condiviso mediante la Commissione per la Verità e la Riconciliazione.
Personalmente,
io esprimo tutte le mie riserve – e mi assumo la responsabilità delle mie
affermazioni – riguardo a questi due percorsi, non tanto perché io ritenga vano
il perdono e la condivisione della memoria storica, quanto perché certe piaghe
della Storia sono e rimangono aperte e sanguinanti. Che dire della Shoah, di
cui, tra l’altro, quest’anno celebriamo il settantesimo anniversario? Non me la
sento di giudicare i sentimenti che tuttora provano certe vittime verso i loro
carnefici…
Il
percorso della traduzione mi sembra
che colga meglio il senso della “cittadinanza non indifferente” proposta dalla
Professoressa Brezzi. Si tratta di riconquistare il significato etico della
traduzione, non solo quello, nobilissimo, squisitamente filologico: entrare
nella Cultura dell’alterità non significa dimenticare la propria, perché sarebbe un appiattimento forzato e inutile. Secondo Ricoeur,
che parla di “ospitalità linguistica”, il significato etico del tradurre è
«abitare l’altra lingua come ospiti invitati, adeguando il più possibile le
risorse dell’una e dell’altra». Ed è proprio l’ospitalità linguistica che esprime
un Ethos rinnovato, perché dimostra la possibilità di comunicare con l’alterità,
evita l’incomunicabilità tra le parti in causa, gli stereotipi e le
contrapposizioni “noi-loro”.
Voglio
terminare questo mio contributo rendendo l’omaggio che merita la Professoressa
Brezzi come Donna e Filosofa. Il lavoro mi è reso facile dalla recente
pubblicazione di un articolo sull’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore del 15 novembre, intitolato “La Filosofia non è una
barba”, di Maria Bettetini.
Al
di là dell’evidente doppio senso del titolo, luogo comune che in queste righe
spero di aver contribuito ad abbattere, l’Autrice intendeva rendere un
(doveroso) omaggio alla Filosofia “al Femminile”.
Leggo:
«“Voi donne al massimo siete delle storiche”, mi disse molti anni fa un collega
un po’ borioso […] Storiche? È un complimento, la storia del pensiero libera dalla
stupidità di ritenersi i primi ad aver pensato e detto qualcosa, infonde
rispetto verso il passato, così da guardarsi bene prima di confrontare se stessi
con un grande che ha l’unico difetto di essere morto. Forse questa è la
caratteristica della donna che si misura con la filosofia, non aver paura di
sporcarsi le mani con il passato e col presente, non recitare il ruolo del
genio solitario e incompreso. Non nascondersi dietro parole astruse o
addirittura inventate (non è uno scherzo, accade). Misurarsi con la vita tutta
intera, si tratti della Storia con la maiuscola o delle nostre piccole storie.
L’intento è quindi quello di fare filosofia qui e ora».
A
quell’intento che la Professoressa Brezzi ci ha comunicato, con passione e con
grande competenza, va il mio ringraziamento e quello, ne sono certo, della
comunità jesina che ama la Cultura del confronto.