Ogni volta che entro in quel
Reparto è come se avvertissi un pugno allo stomaco.
Sono Volontario TS di Croce Rossa; ci vado a “prelevare” i dializzati
che fanno il “trattamento”: una seduta di emodialisi dura circa tre ore, a
giorni alterni, appunto…
La divisa che porto non mi
permette emozioni ma credo che pagherei volentieri per la lezione di Vita che
mi offre quest’esperienza ogni volta che la indosso.
Perciò, faccio il mio
lavoro: non devo commentare e devo parlare il meno possibile.
Le parole che ho dentro, tuttavia, sono la “versione”
intima di quelle emozioni che non posso lasciare uscire da me.
È una forma di rispetto per
chi soffre.
Già! Il silenzio che
dobbiamo avere davanti al mistero della sofferenza.
Silenzio quasi orante,
rispettoso di un enigma che ha risposte soltanto in Dio.
Parlo del mio servizio (diaconia, come lo chiamo io) che, di
tanto in tanto, secondo i miei turni, svolgo presso l’Unità Operativa Nefrologiae Dialisi del Nuovo Presidio Ospedaliero “Carlo Urbani” in Jesi.
Certo sono preparato a
tamponare una fistola che d’un tratto impazzisce e perde sangue.
Non credo, però, che mi
sentirò mai preparato a separare emozioni da protocolli…
Non credo che lo siano anche
molti tra coloro che fanno certi mestieri…
Forse non sarò mai un buon
“soccorritore”, ma credo che quest’esperienza sia la scuola presso la quale
dovrò sostenere esami tutti i giorni: prove che la Vita mi fa sostenere perché
io impari a capire, almeno con gli
strumenti umani che ho a disposizione, la sofferenza, e per fare esercizio di
umiltà.
L’altro giorno sono entrato in
quell’Unità; solito turno di routine:
alcuni dializzati che, terminata la terapia, devono rientrare a casa.
Nell’attesa, il mio fiuto
per i libri mi fa intercettare una pila di libretti con la stessa copertina.
Ne prendo uno e mi accorgo
subito che è il Diario di un dializzato.
Lui è Giorgio Candelaresi
che ha scritto e pubblicato “Un giorno sì, un giorno no” (Ventura edizioni, Senigallia.
€ 12,00).
È la testimonianza della sua
esperienza, dedicata a Papa Francesco e al Vescovo Gerardo. L’ispirazione è
presa dal libro del Servita e biblista Maggi, autore di “Chi non muore si rivede”:
altro “diario”, quello, di una lunga sofferenza di malattia.
Candelaresi è uomo di
cultura: docente e politico chiaravallese, vanta amicizie con Vito Mancuso e
Don Ciotti. Scrive in modo fluente, non è retorico e parla della sua esperienza
senza lesinare concretezza mentre afferma che «la relazione tra le persone,
caratterizzata da empatia, è la base della nostra vita ed è necessaria la
relazione con l’altro».
È un assioma esistenziale comune,
spesso ignorato nella prassi, ma è chiaro che Candelaresi parla del clima quasi
famigliare che s’instaura tra il Personale operativo e i Pazienti presso
un’Unità del genere.
In realtà, credo che quest’agile
libretto, oltre che essere una valida operazione di bonifica della tensione
emotiva che la dialisi procura e incide indelebile nell’animo del malato, sia
un utile strumento di riflessione che l’Autore mette a
disposizione e del quale io gli sono grato.
Sempre che abbiamo voglia di
fermarci a riflettere, imprimere nel nostro cuore un pizzico di umiltà e seminarvi
un briciolo di saggezza.
Quella che ci dovrebbe
stimolare a saper separare l’utile dall’inutile.
Ci circondiamo troppo del
frastuono di tante cose superflue: forse perché tentiamo di nascondere la nostra
sistematica fragilità, la nostra endemica provvisorietà.
Credo che dobbiamo essere
grati a Candelaresi per averci offerto questa testimonianza del suo impatto con
il dolore e sulla precarietà della condizione umana.
Proprio per questo motivo
dico che pagherei per imparare la lezione di Vita che mi offre questo servizio
di Volontariato…
Oreste Mendolìa Gallino
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