giovedì 31 marzo 2016

DIARIO DI UN DIALIZZATO

Ogni volta che entro in quel Reparto è come se avvertissi un pugno allo stomaco.
Sono Volontario TS di Croce Rossa; ci vado a “prelevare” i dializzati che fanno il “trattamento”: una seduta di emodialisi dura circa tre ore, a giorni alterni, appunto…
La divisa che porto non mi permette emozioni ma credo che pagherei volentieri per la lezione di Vita che mi offre quest’esperienza ogni volta che la indosso.
Perciò, faccio il mio lavoro: non devo commentare e devo parlare il meno possibile.
Le parole che ho dentro, tuttavia, sono la “versione” intima di quelle emozioni che non posso lasciare uscire da me.
È una forma di rispetto per chi soffre.
Già! Il silenzio che dobbiamo avere davanti al mistero della sofferenza.
Silenzio quasi orante, rispettoso di un enigma che ha risposte soltanto in Dio.
Parlo del mio servizio (diaconia, come lo chiamo io) che, di tanto in tanto, secondo i miei turni, svolgo presso l’Unità Operativa Nefrologiae Dialisi del Nuovo Presidio Ospedaliero “Carlo Urbani” in Jesi.
Certo sono preparato a tamponare una fistola che d’un tratto impazzisce e perde sangue.
Non credo, però, che mi sentirò mai preparato a separare emozioni da protocolli…
Non credo che lo siano anche molti tra coloro che fanno certi mestieri…
Forse non sarò mai un buon “soccorritore”, ma credo che quest’esperienza sia la scuola presso la quale dovrò sostenere esami tutti i giorni: prove che la Vita mi fa sostenere perché io impari a capire, almeno con gli strumenti umani che ho a disposizione, la sofferenza, e per fare esercizio di umiltà.
L’altro giorno sono entrato in quell’Unità; solito turno di routine: alcuni dializzati che, terminata la terapia, devono rientrare a casa.
Nell’attesa, il mio fiuto per i libri mi fa intercettare una pila di libretti con la stessa copertina.
Ne prendo uno e mi accorgo subito che è il Diario di un dializzato.
Lui è Giorgio Candelaresi che ha scritto e pubblicato “Un giorno sì, un giorno no” (Ventura edizioni, Senigallia. € 12,00).
È la testimonianza della sua esperienza, dedicata a Papa Francesco e al Vescovo Gerardo. L’ispirazione è presa dal libro del Servita e biblista Maggi, autore di “Chi non muore si rivede”: altro “diario”, quello, di una lunga sofferenza di malattia.
Candelaresi è uomo di cultura: docente e politico chiaravallese, vanta amicizie con Vito Mancuso e Don Ciotti. Scrive in modo fluente, non è retorico e parla della sua esperienza senza lesinare concretezza mentre afferma che «la relazione tra le persone, caratterizzata da empatia, è la base della nostra vita ed è necessaria la relazione con l’altro».
È un assioma esistenziale comune, spesso ignorato nella prassi, ma è chiaro che Candelaresi parla del clima quasi famigliare che s’instaura tra il Personale operativo e i Pazienti presso un’Unità del genere.
In realtà, credo che quest’agile libretto, oltre che essere una valida operazione di bonifica della tensione emotiva che la dialisi procura e incide indelebile nell’animo del malato, sia un utile strumento di riflessione che l’Autore mette a disposizione e del quale io gli sono grato.
Sempre che abbiamo voglia di fermarci a riflettere, imprimere nel nostro cuore un pizzico di umiltà e seminarvi un briciolo di saggezza.
Quella che ci dovrebbe stimolare a saper separare l’utile dall’inutile.
Ci circondiamo troppo del frastuono di tante cose superflue: forse perché tentiamo di nascondere la nostra sistematica fragilità, la nostra endemica provvisorietà.
Credo che dobbiamo essere grati a Candelaresi per averci offerto questa testimonianza del suo impatto con il dolore e sulla precarietà della condizione umana.
Proprio per questo motivo dico che pagherei per imparare la lezione di Vita che mi offre questo servizio di Volontariato…

Oreste Mendolìa Gallino


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