mercoledì 9 marzo 2016

LA DEMOCRAZIA TRA CRISI E TRASFORMAZIONE

La Rassegna degli Incontri Culturali 2015/2016, organizzata dalla Diocesi di Jesi, Biblioteca Petrucciana, e dal Comune di Jesi, Assessorato alla Cultura, Biblioteca Planettiana è terminata il 19 febbraio scorso. Ospite presso la Planettiana è stato il Prof. Stefano Petrucciani, docente di Filosofia Politica presso La Sapienza di Roma, che ha presentato una riflessione su Democrazia tra crisi e trasformazione.
Ovvio pensare che la crisi della Democrazia sia in stretta relazione «già da qualche anno, non solo in Italia, col fenomeno preoccupante della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni rappresentative». Un fenomeno talmente dilagante che, secondo Petrucciani, non poteva sfuggire alla riflessione degli esperti, vista la «grande fioritura di studi e di libri che, già dai titoli, danno la percezione di un interrogarsi su una situazione che è percepita come difficile e di crisi».
Quali sono i motivi delle numerose difficoltà di una Democrazie senza Democrazia, per citare uno di quei libri, quello di Massimo Salvadori?
Il Relatore ne ha proposti alcuni, che qui sintetizzo per la riflessione del Lettore.
Il primo, la “verticalizzazione della Politica”. Viviamo il tempo della Politica del leader; da qui alla crisi della Democrazia il passo è breve: un leader è uomo forte e rappresentativo di un’idea politica, che supplisce alla «riduzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica dei partiti» e, al tempo stesso, è specchio dell’«indebolimento del ruolo degli organismi parlamentari; sempre più spesso, infatti, i Parlamenti sono costretti a votare grandi pacchetti legislativi preconfezionati» sui quali non esistono confronto e dibattito e che, perciò, s’impongono senza un dialogo tra le parti. È il cosiddetto ricorso, vizio ormai inveterato, al “voto di fiducia” che è cartina di tornasole della spoliazione del dibattito parlamentare e, non meno, strategia della riforma che mira ad aumentare i poteri del Presidente del Consiglio (il cosiddetto “premierato forte”, tanto per intenderci).
Figure di questo tipo impongono un’attenta riflessione sul rapporto tra Politica e potere comunicativo, potere mediatico. È «un problema molto serio – secondo Petrucciani –, perché l’intreccio ormai si è fatto fortissimo e questo porta alla mediatizzazione della politica e riduce il cittadino a semplice spettatore». Petrucciani denuncia «la trasformazione della Politica che deve necessariamente seguire il modello del marketing, che s’ispira allo slogan accattivante (cfr. Podemos in Grecia, Yes, we can! di Obama, Perchéno? di J.F. Kennedy ecc.) e al personaggio seducente che riesce a proporlo al pubblico. Il rischio è che non si possa più proporre un ragionamento complesso, poiché la comunicazione con questi strumenti dev’essere estremamente rapida e basata sull’immagine, quindi porta a svuotare la possibilità di ragionare con maggiore attenzione sulle questioni e di conoscerle in modo più approfondito».
«Messaggi troppo complicati e riflessivi – prosegue Petrucciani –, rischiano di smarrire la strada per prevalere in questo tipo di mercato politico. Il potere dei media è capace di creare e distruggere personaggi, ed è un dominio fortemente concentrato. I grandi conglomerati che controllano i media nel mondo sono pochi e hanno la possibilità di influenzare il pubblico e portarlo al sostegno di questo o di quel leader».
Tutti sanno che RupertMurdock, fondatore e proprietario di un vasto conglomerato economico specializzato nel settore dei mezzi di comunicazione di massa, ha sostenuto Margaret Thatcher e Tony Blair (campagne elettorali Anni 90) e quella recente di David Cameron.
E dopo il Ventennio berlusconiano chi può mettere ancora in dubbio l’intreccio tra potere economico, politico e mediatico che ha prodotto incontrollati interessi perversi e incestuosi?
Certo è che in questo clima di esautoramento della funzione democratica in mano ai Cittadini, essi non possono fare altro che sentirsi sempre meno rappresentati e, di conseguenza, sviluppare un certo risentimento. Questo “rancore” è aggravato dalla «traslazione della decisione politica dal livello nazionale a quello sovrannazionale, in un’atmosfera che è molto più impermeabile rispetto al dibattito politico» indigeno di ciascuno Stato.
La crisi economica, per esempio, ha mostrato il notevole rimaneggiamento dell’esercizio democratico proprio di una nazione, perché, sempre più spesso, le politiche – in particolare quelle economiche – sono stabilite, quasi imposte, dall’Unione e dalla Banca europee. Sintomatico di questa situazione dagli accenti kafkiani è che lo stesso Jürgen Habermas (storico e sociologo tedesco della “Scuola diFrancoforte”), fortemente europeista, ha detto che “non era mai successo che Governi eletti dal popolo fossero sostituiti senza esitazioni da  persone direttamente portavoce dei mercati” (Monti, in Italia e Papadīmos, in Grecia, tanto per citarne un paio…).
Secondo il Professor Petrucciani, un terzo motivo di riflessione sulla crisi della Democrazia è rappresentato dallo sfaldamento della contrapposizione politica tra Destra e Sinistra, uno scenario d’interessi contrapposti – nella prima, quelli della borghesia; nella seconda, quelli del proletariato ­– nato durante la Rivoluzione Francese. È parere del Relatore «che, negli ultimi anni, si sia rotta la simmetria tra dialettica politica e dialettica sociale, nel senso che una serie di strati sociali più o meno svantaggiati non ha più trovato una rappresentanza nell’ala sinistra dello schieramento politico e probabilmente se la è andata a cercare altrove, a Destra». In breve: la Sinistra non è più stata capace di rappresentare, tanto meno di tutelare, avendo tra le proprie fila un interlocutore carismatico, «gli strati sociali perdenti della globalizzazione (il lavoro industriale, l’operaio industriale in Italia, oppure i ceti popolari delle periferie urbane alle prese con un tessuto che si degrada in seguito ai flussi migratori)».
Figlie di questa perdita d’identità sono le cosiddette forze “populiste” (Movimento 5 Stelle, Lega Nord), «che hanno assunto la rappresentanza del disagio e del risentimento dei perdenti della globalizzazione e che sfruttano il risentimento degli strati sociali colpiti da queste trasformazioni», per assumerlo come strategia della propria politica alternativa.
Se, dunque, da questo scenario emerge la fotografia di una Democrazia “malata”, quali sono i rimedi per guarirla?
Senza dubbio non si può fare a meno della ricetta di NorbertoBobbio, il grande pensatore, filosofo, giurista, storico, politologo e senatore torinese (1909-2004) che sosteneva che nel “gioco” democratico non possono mancare determinate regole: libere elezioni, pluralità di partiti, libertà di discussione, confronto aperto nell’opinione pubblica, politica parlamentare). Mica uno qualunque, Bobbio, che negli Anni 20 condivise il Liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino con Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Cesare Pavese!
Altro “farmaco” per rinvigorire la Democrazia sta nella “sostanza” concreta e reale dei diritti dei Cittadini, diritti sostanziali che rendono qualunque Cittadino un individuo libero, non dipendente da altri, non a rischio di emarginazione e di povertà; diritti che la Costituzione recita senza fraintendimenti. Ché se Democrazia significa “potere di tutti” (del popolo, della gente), tutti, allora, hanno diritto a voto, libertà politiche e pluralismo, a cittadinanza sociale e inclusione sociale. Tutti hanno diritto istruzione, cultura e salute, assistenza sociale, lavoro e assistenza pensionistica. Nessuno può fare a meno di queste fondamenta inalienabili nella vita di ogni essere umano; «la democrazia, infatti, – secondo Petrucciani – porta in sé una tensione tra ciò che essa è realmente capace di fare e dare e la sua capacità di rafforzare il potere dei Cittadini».
E se «la Democrazia è dinamica, processo inarrestabile, che non si compiace dei risultati conseguiti», la ricetta per tenerla in vita sta nella sua capacità «di guadagnare nuovi fronti, di superare tutti gli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo della Persona umana e del Cittadino».
Certo è che il senso del “bene comune” rispetto a quello privato, la solidarietà civica e l’interesse per la “cosa” pubblica, è un argomento – seppure complesso e articolato – essenziale per il destino della Democrazia.
«Purtroppo – conclude il Professor Petrucciani – la storia italiana è una parabola di frammentazione politica che altri Paesi non hanno avuto. L’Italia ha costruito un’identità collettiva molto tardivamente: un cammino che essa ha fatto tra molte difficoltà. Il nostro è un Paese che ha urgente bisogno di ritrovare il senso di comunione e di comunità civiche sforzandosi di superare spiriti settari e particolaristici, lontani dal concetto di Nazione, che nella sua storia sono stati sempre molto forti».
Concludo questo intervento ricordando quello che, nel 1999, scriveva la Professoressa Sandra Ponzanesi, Capo Dipartimento di Discipline storiche dello UniversityCollege di Utrecht: «Per comprendere il processo di multiculturalizzazione in atto, è necessario in primo luogo ripensare la nozione di identità italiana: un concetto che appare piuttosto controverso negli anni Novanta. L’Italia, che si proietta al mondo esterno come il Paese del made in Italy e della corruzione politica, non coincide con un’area culturalmente coesa. Il recente movimento della Lega Lombarda, che propone uno stato federale in cui il Nord possa essere separato dal resto del Paese, è solo la recente espressione di una lunga storia di differenziazioni linguistiche, politiche ed economiche».

Oreste Mendolìa Gallino

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