Un assunto, provato non solo dalla riflessione
filosofica ma dall’esperienza di tutti i giorni, recita che l’Uomo è un essere
talmente strano d’aver abitualmente
la capacità di trasformare il Bene in Male. “Abitualmente”, cioè “per abitudine”.
O forse per un mistero legato alla sua natura? Il problema non è irrilevante,
perché c’è in gioco il capovolgimento dei valori che sta alla base della
Morale.
A porre il problema è stato il Professor
Petrosino, docente presso la Cattolica di Milano, in occasione della rassegna Filosofiamo promossa dall’Associazione politica Jesiamo, che si è
svolta presso la Circoscrizione di Via San Francesco.
Petrosino non nasconde la buona fede dell’individuo
in genere che, se interrogato a proposito, dice d’essere propenso al Bene.
Tuttavia, il demone dell’Ego è in
agguato: l’individuo celebra di sé la liturgia dell’individualismo, fino a
trasformarsi in una macchina narcisistica distruttiva.
«In genere – prosegue Petrosino – l’evoluzione
dell’Io passa dal “mio” infantile ma è un “mio” superabile, perché transitorio,
evolutivo». Infatti, se nel bambino è il pedaggio da pagare perché egli possa “calibrare”
la sua esperienza di sé in rapporto al mondo che lo circonda, nell’adulto la coniugazione
a oltranza del “mio” è spia di narcisismo doloso: l’ostentazione del “m-io”
diventa assuefazione all’Io.
La bellezza fisica, per esempio; certo, essa è un
valore positivo che, oltretutto, non va trascurato, ma quando la sua ostinata
ricerca diventa ossessiva, quando il proprio corpo diventa idolo, essa si
trasforma in cosa negativa e mortifera. L’anoressia è un esempio.
Un caso di capovolgimento del Bene in Male,
oggetto di un’appassionata riflessione in ogni tempo e latitudine, è l’episodio
di Genesi 11,1-9, quello della costruzione della torre di Babele. Babele è l’elogio
dell’insieme degli individui e della loro capacità di coordinarsi per costruire
una città, la cosiddetta “città ideale”. Pure costruirvi una torre è cosa
bella, perché essa è allegoria dell’Uomo che si eleva a Dio.
In Babele non c’è capo e nessuno ordina, non
esiste violenza e la democrazia vige indisturbata. Qualcosa, tuttavia, qualcosa
di misterioso, interrompe la costruzione, qualcosa “va storto” e Dio scompagina
il progetto dell’umanità e ne confonde le lingue «perché non comprendano più l’uno
la lingua dell’altro».
Un commento del Midrash (la tradizione ebraica sulla Torà) rivela che gli uomini
erano talmente “presi” dalla costruzione che quando un individuo cadeva dalla
torre succedeva nulla, ma se fosse caduto un mattone, tutti ne avrebbero pianto.
Un’allegoria, questa, evidente disprezzo della vita umana per alimentare l’imperativo
di “elevarsi fino a Dio”; evidente rifiuto della dimensione orizzontale, quella
dell’incontro con l’altro, per alimentare soltanto quella verticale dell’anelito
alla divinità. Evidentemente a discapito del buon senso!
«Perché, – dice Petrosino – quando gli uomini in
cima alla torre guardano in basso sono colti dalla vertigine? Perché l’Uomo,
ubriacato dal potere, dimentica di guardare avanti e attorno a sé: vuole
guardare Dio ma non guarda il fratello che ha accanto, un fratello che nell’orfano
e nella vedova, nell’ammalato e nel povero, nel profugo e nel rifugiato» è
salito sulla croce del Cristo e ne ha preso le sembianze, è delirante prossimo
alla morte e denuncia l’abbandono.
Ogni progetto, seppur lodevole, in cui l’individuo
punta in alto dimenticandosi del prossimo, è un’operazione che non esita a
trasformarsi in una distruzione, una perdizione: è così che la comunità si
trasforma in comunanza. E la comunanza è senza corpo e senza passioni. La
comunanza non è comunione, perché la comunione è somma d’individualità, è
relazione diretta con l’altro. Nel Midrash
gli angeli chiedono a Dio d’intervenire con urgenza per porre fine a quella
scellerata situazione: «Non vedi che gli uomini hanno perso il senso della loro
umanità?». E Dio confonde le lingue perché gli idiomi diversi obblighino gli
individui a sforzarsi di “capire”; parlare la stessa lingua è semplice, si
rischia pure di annoiarsi; imparare la lingua dell’altro esige impegno…
Come si fa, dunque, a capire che il Bene si sta
trasformando in Male? Quando ci dimentichiamo dell’altro e, all’occorrenza, di
avere cura di noi stessi e di farlo, s’intende, con equilibrio.
Oreste Mendolìa Gallino
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