La crisi: declino di valori o punto di
svolta? Il 22 Febbraio è il
turno del Prof. Silvano Petrosino, docente di Filosofia Ermeneutica alla
Cattolica di Milano; tema dell’incontro, “Felicità e denaro”.
«Quante volte
abbiamo detto o sentito, facendo il verso
a certi stereotipi: “Il denaro non fa la felicità, però è meglio averlo”? è una cosa ovvia e di buonsenso, sulla quale siamo tutti d’accordo,
ma non merita attenzione più di tanto.
Perché? Perché è un’indagine del problema
che porta da nessuna parte; infatti, non risponde alla domanda: “Come mai l’Uomo
cerca sempre il denaro pur sapendo che lì non c’è la felicità?”». Questa, in
sintesi, la premessa di Petrosino che, tuttavia, incalza costruendo il suo
intervento sulla distinzione tra Bisogno e Desiderio.
«L’uomo, poiché
essere vivente, come gli animali, è costituito da bisogni ed è proteso alla
continua ricerca del piacere, del godimento, del compimento. La vita è la forza
che ci spinge a cercare un soddisfacimento nel piacere. Su questo punto, tutte
le posizioni materialistiche hanno ragione».
Tuttavia, l’Uomo
non è solo ricerca di godimento, perché è abitato da un desiderio che non coincide
col godimento, che non si risolve con
la ricerca del godimento; egli è abitato da qualcosa
(cui egli ha tentato, nel tempo, di dare nomi come “felicità”, “pienezza” ecc.)
che va al di là del desiderio e del suo (improbabile) compimento nel godimento,
perché non s’identifica a livello dell’oggetto. Infatti, dice Petrosino, «ciò
che caratterizza il desiderio è che esso non è in relazione a un oggetto, perché
l’Uomo non è solo un insieme di bisogni».
Qui sta il
punto di svolta della riflessione. Il Professore cita il filosofo materialista
sovietico, di cultura stalinista, Kojève (1900-1968): “è certamente corretto dire che l’Uomo è presente nella
Natura. Occorre, tuttavia, aggiungere subito che egli è la presenza di un’assenza. L’animale realizza il suo desiderio della realtà materiale
assimilandola: ha fame?, mangia per soddisfare quel desiderio, ed è quello che mangia. E se è vero che pure
l’Uomo è quello che mangia, egli, però,
resta desiderio in quanto tale. Nell’animale il desiderio si annienta; il
desiderio umano, invece, resta quello che è persino nella sua soddisfazione”.
Indipendentemente
dalla fede, sta qui la descrizione fenomenologica di che cosa è l’Uomo.
Il riferimento di
Petrosino al mondo della fiaba è azzeccato: «Quando Tizio deve enumerare tre
desideri alla fatina di turno, chiede questo, quello e quell’altro… salvo poi
chiederle se può esporre un altro desiderio, poi un altro, un altro ancora e
così via. Sarebbe meglio dirle: “Vai a quel paese!”, perché ella chiede di numerare l’innumerabile».
L’uomo, dunque,
è abitato da «un desiderio senza nome che lo pone in una condizione di continua
apertura, di continua attesa, di continua ricerca di qualcosa rispetto al quale
il godimento che gli deriva dal possesso di un oggetto risulta sempre
inadeguato». Il filosofo francese Lévinas (1905-1995) affrontò l’inconsistenza
di questo godimento dicendo che “Il desiderio è l’infelicità dell’uomo felice”,
con ciò ammettendo, come sottolinea Petrosino, che «quando noi raggiungiamo l’oggetto
del nostro godimento, in quel preciso momento – anziché avere pienezza – proviamo un sentimento di
nostalgia, di malinconia». Sono le parole che Goethe mette in bocca a Werther (1774) dopo che il giovane ha conquistato Carlotta: “Sono
felice, eppure sono triste”.
Questo accade
perché l’Uomo non può mentire sul suo desiderio, perché tale desiderio non è un
oggetto ma è felicità, è pienezza, è Dio. È a questo livello che l’umano emerge
nella sua assoluta grandezza. A che cosa risponde, per esempio, l’anelito che
abita ogni forma di Arte? Risponde a una condizione di costante “inquietudine”:
termine che non vuol dire “nervoso” ma quell’infelicità del felice in cui il desiderio resta tale anche nella
soddisfazione; l’Uomo è questo: un essere in-quieto,
aperto, in-attesa-di, in uno stato di continua
urgenza.
È così che l’unica
risposta da dare alla fatina non sta nel soddisfacimento dei tre desideri ma
nella richiesta della sapienza, quella che chiede Salomone: che non è un
oggetto ma «un modo di vivere e per vivere da uomini il desiderio che c’inquieta».
“Da uomini” vuol dire riconoscere un’inquietudine, una frattura; che c’è sempre
qualcosa al di là e, al tempo stesso,
evitare quello che noi – invece – non evitiamo, cioè la menzogna sul desiderio.
Infatti, che cosa fa l’Uomo continuamente? «Cerca di tradurre la logica inquietante
del desiderio nella logica quieta del godimento; egli cerca continuamente di autoconvincersi
che ciò di cui ha bisogno è un nuovo “questo” o un nuovo “quello”… e che se
questo godimento diventasse di più, di più e di più, il possesso garantirebbe
pace. Non è così!».
Lo psicanalista
Lacan (1901-1981) diceva che “l’essenza dell’oggetto è il fallimento”, «non in
quanto oggetto, tiene a precisare Petrosino; ma quando l’oggetto diventa la
risposta al desiderio, quello è il momento in cui nasce l’idolo. E l’idolo,
oggi, non è solo il denaro ma il potere (vero punto d’appoggio), lo stesso
potere che Satana offre a Gesù nell’ultima tentazione del deserto (Mt 4,1-11)».
Paperon de’
Paperoni, conclude il Professore, «non è per nulla un avaro, perché gode della
possibilità di possedere. Egli ha capito che il problema non è spendere il
denaro ma averlo, per poter vivere continuamente nell’illusione di ciò che
potrebbe possedere ma che è meglio non possedere, perché se lo possedesse si
rivelerebbe il fallimento.
Il denaro, in sé,
non è male ma lo diventa quando è idolatrato come risposta al desiderio».
Personalmente
credo necessario citare ancora Sant’Agostino nel giro di pochi giorni: «Quia fecisti nos ad te, Domine, et inquietum
est cor nostrum donec requiescat in te» (Tu ci hai fatto per te, Signore, e il
nostro cuore non ha pace finché non riposa in te).
Non è forse questa pace il “vero (e unico) punto d’appoggio”
che permette all’Uomo di non rimanere “sospeso” nella sua inquietudine esistenziale?
Oreste
Mendolìa Gallino
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