Chi l’avrebbe
mai detto? Nel nostro tempo, inzuppato di effimero e di precarietà, la Bibbia potrebbe
diventare cattiva maestra. Sì, non storcete il naso: esempio cattivo, s’intende,
se essa serve per incrementare la deriva in cui ci stiamo muovendo, una
deviazione del senso della vita dal suo centro (nucleo) che è, appunto, la
Parola di Dio come verbalizzazione
del Verbo, così inteso per eccellenza, il Figlio di Dio che è (pure) uomo.
Vado con calma
e mi muovo anche con circospezione: so che il terreno è minato. Tento di riassumere
per voi, interessante (e utile) materiale di riflessione per tutti, un
editoriale del Prof. Silvano Petrosino (cfr. Voce della Vallesina del 29 gennaio 2012, pag. 5) apparso su Avvenire (20/9/2011) che, a sua volta,
ne commenta uno (e se ne discosta, fortunatamente) di Marco Liera, apparso
pochi giorni prima su il Sole 24 Ore.
L’oggetto in
discussione è la triste euforia dell’effimero
intesa come altro volto del precariato: un ritratto dei giovani, in buona
sostanza… Il Presidente Berlusconi annotava
che i ristoranti sono pieni, e Liera, in fondo, dice la stessa cosa riguardo allo
struscio che avviene un po’
dappertutto (“struscio” è parola che non indica solo l’indolenza con la quale
si passeggia – immagine concreta a supporto dell’effimero… – ma anche il
fatto che la folla che vi si dedica è tale che la gente è costretta a
strusciarsi l’una con l’altra…).
A quanto pare
Liera non va a fondo del problema o, almeno, trae conclusioni che non sono
reali, rischiando pure lui di diventare effimero
come le sue conclusioni.
Fortunatamente,
dicevo, ci pensa Petrosino a mettere le tessere al posto giusto, a dire le cose
come stanno, pane a pane, vino a vino,
senza cadere nella retorica del suo precedente interlocutore, anzi, con quel
cinismo che ci sbatte in faccia il vero volto della realtà, così che, se non
vogliamo rifletterci (e porvi rimedio), siamo obbligati a prenderci la nostra
responsabilità (soprattutto se siamo educatori, genitori).
Chi lo dice,
infatti, che il giorno dopo quella folla (di giovani struscianti) si alza dal dolce dormire e, come tante leggiadre api
operaie, s’invola chi qua chi là a produrre la dionisiaca ricchezza, a rabberciare
il Pil della nostra dissennata economia?
Petrosino ha il
coraggio di dire tutto il contrario: quanti di quegli struscianti il giorno
dopo si ritrova a essere il precario di sempre? Troppi. Quanti si recano al
lavoro se, in realtà, molti di loro «spesso sono assunti a settimana se non a
giornata»? Pochi.
In mezzo a
loro, consapevoli o meno quegli struscianti, s’insinua l’idra del consumismo,
il potere perverso di una sanguisuga cosmica che succhia loro quel poco che
hanno, purché, tuttavia, essi abbiano sempre in serbo la possibilità di
bivaccare da papà e da mammà. “Bamboccioni”, come diceva la buon’anima Padoa
Schioppa. Sì, certo, bamboccioni ma servi schiavi «del nostro sistema di vita
che ha senz’altro garantito, per fortuna, un certo benessere, che ha dato a
tutti cibo e istruzione, ma che ora sembra non riuscire a dare molto di più.
Giovani spesso laureati, che guadagnano 500 euro al mese (…), che utilizzano i
loro guadagni per abbandonarsi a un consumismo compulsivo e senza alcuna vera
soddisfazione».
Petrosino ha
ragione pure quando ci ricorda che «la nostra società (alla faccia dell’articolo
1 della nostra carta costituzionale) non è più fondata sul lavoro ma sul
consumo e la prova è proprio la folla di giovani, corteggiati» dalla pubblicità
e dai messaggi asfissianti di quel mostro dietro il quale c’è una regia bene
orchestrata da chissàcchì.
Recalcati
scrive che in Occidente c’è una «nuova malattia: estinzione, eclissi, spegnimento, tramonto del desiderio. L’Occidente
capitalista, che ha liberato l’uomo dalle catene della misera trasformandolo in
un homo felix, ha prodotto una nuova
forma di schiavitù: l’uomo senza desideri
(…) Nel paradosso dell’iperedonismo la pulsione si afferma come finalmente
libera ma questa libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione. è una libertà vuota, triste, infelice,
apaticamente frivola» (Ritratti del desiderio,
Raffaello Cortina Editore).
Ecco perché Petrosino ha ragione. Purché,
com’egli chiosa, i giovani non vivano la loro precarietà col non-senso del “tanto
non ne vale la pena”, facendo eco a Sapienza 2,5-9: «Passaggio di un’ombra è infatti la nostra esistenza e non c’è
ritorno quando viene la nostra fine, poiché il sigillo è posto e nessuno torna
indietro. Venite dunque e godiamo dei beni presenti, gustiamo delle creature
come nel tempo della giovinezza! Saziamoci di vino pregiato e di profumi, non
ci sfugga alcun fiore di primavera, coroniamoci di boccioli di rosa prima che
avvizziscano; nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. Lasciamo
dappertutto i segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la
nostra parte». Anziché usare male la Parola di Dio, «Contro una
simile deriva – Petrosino aggiunge – gli uomini di buona volontà non dovrebbero
stancarsi di ricordarlo e di ripeterlo: “La pensano così ma si sbagliano”
(Sapienza 2,21)».
Oreste
Mendolìa Gallino
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