martedì 13 ottobre 2015

SOGGETTIVITÀ E GODIMENTO

Libertà immaginaria nella crisi del postmoderno? Le illusioni della libertà nell’epoca dell’eterno presente. è il turno del professor Petrosino, docente di Filosofia ermeneutica presso la Cattolica di Milano. “Soggettività e godimento” è il tema ed è un invito a guardarci allo specchio della nostra coscienza di Persone e di Cittadini, senza fraintendimenti o ipocrisie, dando il giusto nome alle cose. Lezione senza moralismo, s’intende; aveva ragione Levinas (filosofo francese, 1905-1995) quando diceva che «la cosa importante è sapere se parlando di morale non si cade nel moralismo».
Il godimento (che è un bene, non certo un male) è un fatto ontologico, «non è una cosa schifosa di cui vergognarsi»; anzi, rappresenta il punto essenziale del costituirsi dell’identità della Persona, del soggetto umano. è la Persona, non l’animale, che fa esperienza di una “pienezza”, perché in gioco c’è il problema della “presenza”. Io sono, è ontologia (dal greco ón, óntos, ‘io sono’ + lógos, ‘parola’), consapevolezza del proprio Essere: lo dice la Persona quando fa esperienza dell’in-sé, cioè di se stessa in relazione a.
Il bambino percorre i primi passi nel raggiungimento della propria identità, del proprio Io, attraverso il “mIo”; «Questo è mio» permette alla sua piccola coscienza di confermare se stesso rispetto al mondo circostante: “il mio giocattolo”, “la mia mamma” ecc.
Il “mIo” nell’età adulta è pericoloso perché disgrega l’identità della Persona! Accade che il godimento, da bene in sé e per sé, diventi male (cioè non si è fermato sul ciglio del labile confine tra il “buono” dal “cattivo”) quando la Persona vive protesa verso desideri compulsivi e incontrollati, labirinti che narcotizzano la volontà. La “dipendenza”, infatti, significa dipendere da ‘qualcosa’ (alcol, tabacco, droga, sesso ecc.), oppure da ‘qualcuno’, significa permettere che la propria identità esista solo grazie a un mediatore che la certifica.
Il “mIo” è pedagogico sulla bocca del bambino, non è educativo nel cuore dell’adulto. Attraverso i bisogni, il bambino scopre la propria identità; se un adulto cerca nell’oggetto ciò che esso non è e non può dargli per appagare la propria sete, si ridurrà a inseguire freneticamente un bisogno dopo l’altro. è l’approdo ai desideri compulsivi. Il godimento si trasforma in male quando è schiavo di un desiderio continuo e irrefrenabile. è la patologia di Don Giovanni, “il collezionista” di donne: una vale l’altra, perché ella è oggetto, non godimento appagante.
è la Persona – non l’animale – che fa continua esperienza della “mancanza”, intesa come il “non-tutto”. E la mancanza è il filo conduttore del desiderio. L’angoscia di Heidegger (filosofo esistenzialista tedesco, XIX-XX secolo) non è paura ma consapevolezza del “buco”, del limite umano.
Come ogni cosa che esiste, la Persona è ‘singolarità-individualismo’, ma è anche ‘soggetto’ e ne fa esperienza attraverso il godimento: «godo, perciò sono». Ben inteso: il “buco” è «qualcosa rispetto cui qualunque oggetto è inadeguato». Il problema sta nel fatto che la Persona è masochista (e autolesionista) se trasforma la logica del desiderio in logica del godimento.
“Desiderio smodato”, quello del godimento alterato dal Male, che la società consumistica, ovviamente, sa che è molto bene annidato nel cuore umano. Nella società dei consumi l’oggetto rivela prima o poi la propria identità-sostituibilità, cioè il suo non essere capace di appagare alcun desiderio reale-definitivo; perciò la Persona tende a scartarlo e a sostituirlo in breve tempo, illudendosi, in un circolo vizioso, di trovare ciò che non troverà mai. Il continuo fluire di oggetti da consumare, i messaggi pubblicitari suadenti esistono perché la Persona non faccia esperienza del proprio “vuoto”. Esperienza tragica il vuoto, se non siamo capaci di farci pace e di con-viverci (viverci con)!
Grandi uomini sono quelli che non indietreggiano di fronte alla vanità del desiderio ma gli tengono testa.
«Vivi!», lo dice pure la Parola di Dio, «accetta di essere il “buco” che sei, con i tuoi limiti, ma vivi e sii Persona».
Il serpente non inganna Eva soltanto con una menzogna ma fa leva sull’orgoglio di lei: «Tu sei un non-tutto, dunque sei niente; se mangi questa mela diventerai Dio, cioè tutto». Ella non è capace di tenergli testa: «Mi stai imbrogliando! Io faccio esperienza del Tutto ogni giorno; che bisogno ho, io, di essere il Tutto?», perciò cade nella trappola.
L’esperienza di Maria è tutt’altra cosa: è consapevolezza (coscienza) di non essere all’altezza; ella ha fatto pace col suo essere un non-tutto, è capace (e umile) tanto da mettersi nelle mani del Tutto, di con-fidare (avere fede) in Dio.
Nell’opera postuma “Ontologia della libertà”, il filosofo Pareyson scriveva: «è nel Dio prima di Dio che risiedono il nulla e il male come possibilità superate e vinte. L’esistenza di Dio e la sua scelta del bene sono l’atto originario di una storia eterna (…) La negatività e il male sono presenti in Dio come possibilità prevedute ma scartate (…). è l’Uomo che risveglia sulla scena cosmica il male che era sopito in Dio (e se ne appropria con un atto di orgoglio)».

Oreste Mendolìa Gallino

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