Libertà immaginaria nella crisi del postmoderno?
Le illusioni della libertà nell’epoca dell’eterno presente. è
il turno del professor Petrosino, docente di Filosofia ermeneutica presso la
Cattolica di Milano. “Soggettività e godimento” è il tema ed è un invito a
guardarci allo specchio della nostra coscienza di Persone e di Cittadini, senza
fraintendimenti o ipocrisie, dando il giusto nome alle cose. Lezione senza
moralismo, s’intende; aveva ragione Levinas (filosofo francese, 1905-1995) quando
diceva che «la cosa importante è sapere se parlando di morale non si cade nel
moralismo».
Il godimento (che è un
bene, non certo un male) è un fatto ontologico,
«non è una cosa schifosa di cui vergognarsi»; anzi, rappresenta il punto
essenziale del costituirsi dell’identità della Persona, del soggetto umano. è la Persona, non l’animale, che fa
esperienza di una “pienezza”, perché in gioco c’è il problema della “presenza”.
Io sono, è ontologia (dal greco ón, óntos, ‘io sono’ + lógos, ‘parola’), consapevolezza del
proprio Essere: lo dice la Persona quando fa esperienza dell’in-sé, cioè di se stessa in relazione a.
Il bambino
percorre i primi passi nel raggiungimento della propria identità, del proprio Io, attraverso il “mIo”; «Questo è mio»
permette alla sua piccola coscienza di confermare se stesso rispetto al mondo
circostante: “il mio giocattolo”, “la mia mamma” ecc.
Il “mIo”
nell’età adulta è pericoloso perché disgrega l’identità della Persona! Accade
che il godimento, da bene in sé e per sé, diventi male (cioè non si è fermato sul
ciglio del labile confine tra il “buono” dal “cattivo”) quando la Persona vive protesa
verso desideri compulsivi e incontrollati, labirinti che narcotizzano la volontà.
La “dipendenza”, infatti, significa dipendere
da ‘qualcosa’ (alcol, tabacco, droga, sesso ecc.), oppure da ‘qualcuno’,
significa permettere che la propria
identità esista solo grazie a un
mediatore che la certifica.
Il “mIo”
è pedagogico sulla bocca del bambino, non è educativo nel cuore dell’adulto.
Attraverso i bisogni, il bambino scopre la propria identità; se un adulto cerca
nell’oggetto ciò che esso non è e non può dargli per appagare la propria sete,
si ridurrà a inseguire freneticamente un bisogno dopo l’altro. è l’approdo ai desideri compulsivi. Il
godimento si trasforma in male quando è schiavo di un desiderio continuo e
irrefrenabile. è la patologia di
Don Giovanni, “il collezionista” di donne: una vale l’altra, perché ella è
oggetto, non godimento appagante.
è la Persona – non l’animale
– che fa continua esperienza della “mancanza”, intesa come il “non-tutto”. E la
mancanza è il filo conduttore del desiderio. L’angoscia di Heidegger
(filosofo esistenzialista tedesco, XIX-XX secolo) non è paura ma consapevolezza
del “buco”, del limite umano.
Come ogni cosa
che esiste, la Persona è ‘singolarità-individualismo’, ma è anche ‘soggetto’ e
ne fa esperienza attraverso il godimento: «godo, perciò sono». Ben inteso: il “buco” è «qualcosa rispetto cui qualunque
oggetto è inadeguato». Il problema sta nel fatto che la Persona è masochista (e
autolesionista) se trasforma la logica del desiderio in logica del godimento.
“Desiderio
smodato”, quello del godimento alterato dal Male, che la società consumistica,
ovviamente, sa che è molto bene annidato nel cuore umano. Nella società dei consumi l’oggetto rivela prima o poi la propria identità-sostituibilità,
cioè il suo non essere capace di appagare alcun desiderio reale-definitivo; perciò
la Persona tende a scartarlo e a sostituirlo in breve tempo, illudendosi, in un
circolo vizioso, di trovare ciò che non troverà mai. Il continuo fluire di
oggetti da consumare, i messaggi pubblicitari suadenti esistono perché la
Persona non faccia esperienza del proprio “vuoto”. Esperienza tragica il vuoto,
se non siamo capaci di farci pace e di con-viverci
(viverci con)!
Grandi uomini
sono quelli che non indietreggiano di fronte alla vanità del desiderio ma gli
tengono testa.
«Vivi!», lo
dice pure la Parola di Dio, «accetta di essere il “buco” che sei, con i tuoi
limiti, ma vivi e sii Persona».
Il serpente non
inganna Eva soltanto con una menzogna ma fa leva sull’orgoglio di lei: «Tu sei
un non-tutto, dunque sei niente; se mangi questa mela diventerai Dio, cioè tutto».
Ella non è capace di tenergli testa: «Mi stai imbrogliando! Io faccio
esperienza del Tutto ogni giorno; che bisogno ho, io, di essere il Tutto?», perciò
cade nella trappola.
L’esperienza di
Maria è tutt’altra cosa: è consapevolezza (coscienza) di non essere all’altezza; ella ha fatto pace col suo essere un non-tutto, è capace (e umile) tanto da mettersi nelle mani del Tutto, di con-fidare (avere fede) in Dio.
Nell’opera postuma
“Ontologia della libertà”, il filosofo Pareyson scriveva: «è nel Dio prima di Dio che risiedono il
nulla e il male come possibilità superate e vinte. L’esistenza di Dio e la sua
scelta del bene sono l’atto originario di una storia eterna (…) La negatività e
il male sono presenti in Dio come possibilità prevedute ma scartate (…). è l’Uomo che risveglia sulla scena
cosmica il male che era sopito in Dio (e se ne appropria con un atto di
orgoglio)».
Oreste
Mendolìa Gallino
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